Corriere della Sera 24/09/14
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Dignità e coerenza, in politica,
saranno pure virtù impossibili da praticare. Ma la faccia tosta
dovrebbe avere dei limiti, in nome della decenza. I Paesi arabi che
hanno accettato di affiancare gli Usa nella guerra contro lo Stato
islamico del sanguinario Al Baghdadi rappresentano il trionfo del più
vergognoso doppiogiochismo. A parte l’eccezione del lealissimo
regno di Giordania, tutti gli altri hanno moltissimo da farsi
perdonare. Arabia Saudita, Emirati, Kuwait, Bahrein e Qatar sono
stati infatti tra i primi responsabili dell’ascesa irresistibile
del Califfo della morte. A diversi livelli lo hanno aiutato,
finanziato, armato, sostenuto, in odio al regime siriano di Assad,
alleato dell’Iran sciita, e forse per indebolire un produttore di
petrolio concorrente: l’Iraq. Riad è il più potente dei
voltagabbana. I sauditi pensano di poter comprare tutto e tutti.
Hanno flirtato persino con gli odiati Fratelli musulmani, per poi
coprire di miliardi l’Egitto del generale Al Sisi. Gli Emirati sono
da sempre la banca che non pone domande sulla provenienza del denaro.
Il Kuwait, che ha subito l’egoismo dei «fratelli», non impara mai
abbastanza. Il Bahrein, dipendente da Riad, fa quello che gli viene
chiesto. E poi c’è il Qatar: minuscolo Paese miliardario, avido ed
egoista, che sottopone la politica alle bizze del suo emiro. Qualcuno
ha sibilato: anche Obama, che l’anno scorso non aveva escluso di
bombardare la Siria di Assad, oggi di fatto è «alleato» del
dittatore contro il Califfo, perché «il nemico del mio nemico è
mio amico». Vero, però i mezzi per sfidare il mondo Al Baghdadi non
li ha avuti di sicuro dagli Usa.
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