ANDREA BONANNI
La Repubblica - 13/9/14
Polemica Renzi-Katainen: Bruxelles dia
meno lezioni, servono investimenti. Padoan: rispetteremo i vincoli.
L’insistenza dei ministri
dell’Eurogruppo e della Bce sulla necessità di accelerare le
riforme strutturali in Europa (soprattutto in Italia e Francia) sta
diventando un mantra europeo, destinato a soppiantare quello sulla
urgenza di risanare i bilanci pubblici.
Ma non si tratta solo di parole al
vento. Lo aveva già vagamente anticipato Jean-Claude Juncker nel suo
discorso di investitura a luglio. Lo ha detto con maggior chiarezza
Mario Draghi ad agosto: è giunto il momento in cui gli stati membri,
dopo aver rinunciato alla sovranità sui bilanci, rinuncino almeno in
parte anche a quella sulle politiche economiche. La riunione
informale di ieri è servita a dimostrare che esiste ormai un vasto e
generalizzato consenso dei governi europei nei confronti di questo
ulteriore passo avanti della «governance comune». Dopo aver per
l’ennesima volta sottoscritto un impegno collettivo ad accelerare
le riforme strutturali chieste da Bruxelles, difficilmente le
capitali potranno rifiutarsi di rendere conto dei risultati ottenuti
in questo campo.
C’è dunque da aspettarsi che la
nuova Commissione, che entrerà in funzione a novembre, metta subito
sul piatto una serie di proposte tese a rafforzare il controllo e la
gestione delle riforme strutturali che vengono richieste ai singoli
Paesi in occasione delle «raccomandazioni specifiche» che Bruxelles
indirizza a ciascun governo. La stessa strutturazione della
Commissione, presentata da Juncker al momento dell’assegnazione dei
portafogli, indica che il focus del nuovo collegio sarà tutto
centrato sulle misure necessarie a rafforzare la competitività delle
economie Ue.
Ma già fin d’ora, con gli strumenti
a disposizione al momento, l’orientamento di Bruxelles è quello di
far marciare di pari passo il controllo sulle politiche di bilancio e
la verifica sull’attuazione delle riforme. Un approccio che ha la
benedizione di Berlino, ma anche il consenso, più o meno convinto e
più o meno esplicito, di tutti gli altri governi, compresi quelli di
Parigi e Roma. E del resto, dopo che i Paesi sottoposti al duro
controllo della troika stanno tutti registrando tassi di
competitività e di crescita più che soddisfacenti, sono proprio la
Francia e l’Italia, con i loro risultati economici deludenti, il
vero obiettivo di questa nuova stretta di redini che si sta
profilando all’orizzonte.
Che cosa significa in concreto questo
nuovo corso europeo per il governo Renzi? A Bruxelles ormai si stanno
tracciando le porte strette del percorso che l’Italia dovrà
superare da qui a giugno per passare l’esame dell’Europa (e dei
mercati) e ottenere la tanto sospirata «flessibilità».
Il primo gradino sarà, ad ottobre, la
presentazione della bozza di Finanziaria che il governo intende
sottoporre al Parlamento. Con le nuove norme europee, l’esame
preventivo di Bruxelles sulle leggi di bilancio è diventato un
obbligo. Ma la Commissione e l’Eurogruppo non si accontenteranno di
sapere come saranno gestiti i nostri conti pubblici. Bruxelles
vorrebbe che, in parallelo con la bozza della Finanziaria, il governo
presenti anche un programma dettagliato e scadenzato delle riforme
che ha ripetutamente annunciato di voler fare. Tre in particolare
sono quelle che interessano l’Europa: la rifor- ma del mercato del
lavoro, la riforma della giustizia (civile), e la riforma della
burocrazia. Si tratta di provvedimenti che non incidono direttamente
sul bilancio, ma che possono avere effetti molto positivi
sull’economia e sul rafforzamento della competitività e che dunque
entreranno a pieno titolo nella valutazione della «flessibilità»
da accordare al Paese. La Commissione tuttavia non si accontenterà
di impegni generici come quelli già presi da Renzi. Vorrà un piano
dettagliato delle riforme, per verificare che comprendano alcune
misure considerate «cruciali». E vorrà un calendario di
attuazione, che comprenda l’iter parlamentare ma anche la messa in
opera concreta attraverso i decreti attuativi.
La seconda porta da superare sarà a
gennaio- febbraio, quando Bruxelles presenterà le previsioni
economiche d’inverno sulla base dei dati consolidati del 2014 e
potrà lanciare dei «warning», degli avvertimenti, ai Paesi che si
stanno allontanando dalla retta via. Quella sarà l’occasione per
una prima verifica dell’attuazione degli impegni presi, sia con la
Finanziaria ormai approvata (tagli alla spesa, riforma fiscale,
privatizzazioni), sia soprattutto sulle riforme annunciate, che a
quel punto dovrebbero aver già superato l’approvazione
parlamentare.
La terza porta verrà a primavera, al
momento di presentare le previsioni economiche. E ancora una volta
l’esame sarà doppio: da una parte sul mantenimento degli impegni
di bilancio, e dall’altra sullo stato di attuazione delle riforme
promesse.
Infine si arriverà al traguardo di
giugno, quando Bruxelles esaminerà il risultato del lavoro svolto,
renderà pubbliche le nuove raccomandazioni e deciderà se aprire o
chiudere le procedure di infrazione. Sarà quello il momento per
esercitare la tanto evocata «flessibilità » confrontando da una
parte i risultati raggiunti in materia di risanamento dei conti
pubblici, e dall’altra la qualità e lo stato di attuazione delle
riforme varate. Ma sarà questo secondo esame a determinare l’esito
del primo. Senza risultati concreti in materia di lavoro, giustizia e
riforma della pubblica amministrazione, l’Italia non deve
aspettarsi sconti e può essere certa che il giudizio sui conti
pubblici sarà spietato.
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