ILVO DIAMANTI
La Repubblica – 12/9/14
Il consenso per il capo
del governo e per l’esecutivo rimane alto e tocca il 60 e il 54 per
cento, ma il calo per entrambi è sensibile. Renzi ispira meno fiducia e perde 15
punti in tre mesi il Pd resta al 41 per cento
Alla fine di un’estate attiva e
combattiva, Matteo Renzi e il suo governo dispongono di un consenso
ancora ampio e maggioritario. Il Pd resta il primo partito, con oltre
il 41% dei voti. Conferma, quindi, il significativo risultato
ottenuto alle elezioni europee. Tuttavia, il clima d’opinione a
favore di Renzi e il suo governo risulta molto ridimensionato
rispetto a giugno.
PERCHÉ sembra indebolita quella
trasversalità emersa, in particolare, nel voto europeo. Si tratta
delle prime indicazioni del sondaggio di Demos per l’Atlante
Politico, presentato oggi su Repubblica. Il PD di Renzi, il PdR,
cioè, oggi appare, in parte, “normalizzato”. Non è più in
grado di attingere consensi da tutti i principali settori dello
spazio elettorale, ma è divenuto un soggetto politico di
centrosinistra, più di centro che di sinistra. Come il suo leader.
Come il premier. Che, per questo, non piace più, come prima, a
centrodestra, ma neppure agli elettori maggiormente spostati a
sinistra. Né, a maggior ragione, agli elettori del M5s.
Chiariamo: la posizione del premier e
del governo appare ancora solida. Il consenso per il governo,
infatti, tocca il 54%. Mentre la fiducia nei confronti di Renzi è
intorno al 60%. Tantissimo, non c’è dubbio. Soprattutto in
confronto agli altri leader, molto lontani, per grado di confidenza.
E quasi tutti in declino. Segno di una certa stanchezza politica che
pervade la società. La differenza, rispetto agli ultimi sei mesi, è
che neppure Renzi e il suo governo “personale” riescono a
sottrarsi a questa tendenza. Anzi. La fiducia nei loro confronti,
infatti, subisce un calo di circa 15 punti rispetto a giugno. Le
ragioni di questo sensibile calo sono diverse e prevedibili.
Anzitutto, la crisi, che non riduce la pressione sul reddito
personale e familiare. Poi, la delusione. D’altra parte, c’è
un’evidente distanza fra le attese dei cittadini e le priorità del
governo. Che, fin qui, ha privilegiato le riforme istituzionali. La
fine del bicameralismo perfetto (e del Senato), la legge elettorale.
Ora: la giustizia. Che, tuttavia, come emerge dal sondaggio
dell’Atlante Politico, non suscitano grande passione, fra gli
elettori. Molto più interessati, invece, alle riforme che riguardano
il mercato del lavoro, il rilancio dell’occupazione, l’adeguamento
delle pensioni più basse, il sistema scolastico, il fisco.
Naturalmente, Renzi ha scelto la via delle riforme istituzionali e
del sistema elettorale per poter, comunque, rivendicare dei
risultati, dopo pochi mesi di governo. Ma anche per creare le
condizioni favorevoli per “governare”, in futuro. E per andare a
elezioni, in tempi non troppo lontani, con regole che permettano la
formazione, in Parlamento, di maggioranze stabili.
Il calo della popolarità del premier e
del governo, però, sottolinea come l’apertura di credito degli
elettori non sia infinita. Quindici punti di fiducia in meno, in tre
mesi, non sono pochi. Anche se è cresciuta la quota di elettori che
pensa che Renzi governerà fino in fondo. Il 43% degli intervistati,
infatti, ritiene che arriverà a fine legislatura. Si tratta di 11
punti in più, rispetto allo scorso giugno. Mentre, al contrario, si
è ridotta a poco più del 20% la componente degli scettici, i quali
credono che resisterà meno di un anno. Parallelamente, resta
maggioritaria - anche se in calo - la componente di chi ritiene che
Renzi ci porterà fuori dalla crisi. Gli orientamenti di voto,
peraltro, riflettono quelli emersi alle elezioni europee. Con alcune
limitate – e significative - diffe- renze. In particolare, la
ripresa di FI, che risale oltre il 18%. E il parallelo
ridimensionamento di NCD e Udc. Come della popolarità di Alfano e
Casini. Risucchiati nella spirale del PdR. Si allarga, invece, il
peso della sinistra (SEL), in parte, probabilmente, per il sostegno
delle componenti critiche del PD. Dunque, la maggioranza degli
italiani pensa che Renzi e il governo arriveranno in fondo alla
legislatura. Il partito di Renzi, inoltre, mantiene una larga
maggioranza. Perché non sembra avere alternative, né un’opposizione
effettiva. Anche il M5s non riesce ad andare oltre il 20%.
Eppure, come si è detto, la fiducia
personale nel premier e nel governo ha subito una brusca discesa. La
spiegazione “politica” di questo ridimensionamento è
comprensibile osservando le tendenze del consenso nei diversi
elettorati di partito. Lo scorso giugno, dopo le elezioni europee, il
gradimento per Renzi e il governo risultava, infatti, trasversale.
Solo fra gli elettori del M5s, infatti, era molto sotto alla
maggioranza. Ora, invece, resta larghissimo nella base del PD –
prossimo al 90% - e fra gli elettori centristi e del NCD. Ma crolla
in tutti gli altri settori. Soprattutto a destra: nella base di FI e
degli altri partiti di centrodestra. Oltre che del M5s (dal 36% a
20%).
Oggi, dunque, Renzi appare ed è un
leader di centrosinistra, alla guida di un governo di
centro-sinistra. E ciò significa che il PDR non può più
prescindere dal PD. Il leader ha bisogno del partito, per governare e
per imporsi, in caso di elezioni. Anche se il partito – il PD –
ha bisogno di Renzi per affermarsi. Per non scivolare di nuovo al
25%.
Per questo i prossimi mesi appaiono
importanti e critici. Per il governo e il suo premier. Per il Pd e
per il suo leader. E, dopo sei mesi di corsa, Renzi deve fare più
attenzione. Al partito, agli elettori, alle parole, ai risultati.
Senza riassumere e sovrapporre governo e comunicazione.
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