La Repubblica – 22/9/14
( r. ma.)
«La ragione per cui la sinistra
italiana ha sempre fallito di fronte alla riforma del mercato del
lavoro sta esattamente nella disconnessione che è stata operata, per
motivi di mera ingegneria politica, tra i diritti del lavoratore
quando è occupato e le tutele che gli vengono accordate quando è
fuori dal mercato del lavoro. Questo errore non va più commesso
perché le due cose stanno insieme ». Filippo Taddei, classe 1976,
economista, professore alla Johns Hopkins University di Bologna, è
il responsabile del lavoro e dell’economia del Pd. È uno degli
uomini impegnati a ricercare una possibile via d’uscita unitaria
del partito sulla la riforma del mercato del lavoro.
Lei ritiene che ci siano margini per
un accordo tra il governo, la maggioranza del Pd e la minoranza del
partito sul mercato del lavoro in particolare sull’articolo 18?
«Certo che ci sono i margini. Non si
farebbe una discussione se non ci fossero. Due obiettivi però devono
essere condivisi: universalità dei diritti e uniformità degli
standard contrattuali. Fatti salvi questi due obiettivi si possono
trovare diverse opzioni».
Questo vuol dire che anche
sull’articolo 18 si possono fare passi diversi?
«Sull’articolo 18 si sta facendo una
discussione preventiva. La legge delega contiene una riforma organica
degli ammortizzatori sociali, della formazione, dei contratti. Così
anziché parlare di sostanza c’è chi preferisce parlare di
simboli, mentre abbiamo il mercato del lavoro più discriminante
d’Europa».
D’accordo, però dietro il simbolo
dell’articolo 18 c’è la diversa soluzione che si potrà dare al
contratto a tutele crescenti: la previsione del diritto al reintegro
dopo un certo numero di anni oppure l’introduzione del solo
indennizzo monetario. Per questo si parla di articolo 18. Lei è a
favore del reintegro o dell’indennizzo?
«Questo è esattamente il cuore della
discussione che avremo nei prossimi giorni. Io mi rifiuto di
concentrare la discussione sull’articolo 18 quando l’obiettivo è
estendere le tutele a chi oggi non ha nulla».
Per farlo, penso al sussidio di
disoccupazione universale, servono nuove risorse. Quante? Come
pensate di reperirle?
«In questi giorni stiamo facendo una
valutazione precisa. Per rendere universale il sussidio il costo si
aggira intorno a 1-2 miliardi aggiuntivi rispetto alle spese attuali
».
Dove troverete questi soldi?
«Nella legge di Stabilità da 20
miliardi che è l’altro pilastro della politica economica di questo
autunno ».
Costerà di meno il contratto a
tempo indeterminato?
«Già oggi costa meno, cercheremo di
rendere maggiore questa differenza».
Come pensate di sfoltire le
tipologie contrattuali?
«Pensiamo che serva un mercato del
lavoro efficiente e che aiuti l’equità. Le tipologie contrattuali
vanno ricondotte tutte a due categorie: il lavoro subordinato,
distinto in contratti a tempo indeterminato e in contratti a tempo, e
il lavoro autonomo. E i contratti stabili sono il miglior strumento
per conseguire questo obiettivo».
Salteranno tutti i contratti
precari, dai co.co.pro al lavoro a chiamata?
«Sarà anche questo oggetto della
discussione. Certo è difficile oggi spiegare che cos’è un
lavoratore parasubordinato. Dobbiamo finirla con le mezze bugie: o è
un lavoratore dipendente o è autonomo. La semplicità e la chiarezza
è il miglior viatico all’estensione dei diritti a chi oggi non ce
l’ha. E l’estensione dei diritti nel rapporto di lavoro è
possibile solo se contemporaneamente definisci le tutele che scattano
quando sei fuori dal mercato del lavoro. Questa è la vera sfida, non
l’articolo 18».
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