Per lunghi tratti la direzione democratica non è stata utile né
interessante, appesantita da polemiche pregresse. Poi è migliorata. Ne
esce comunque fuori l'identità di una sinistra popolare moderna.
Per lunghi tratti non è stato un bel dibattito quello
della direzione del Pd, al di sotto dell’importanza del tema. Una
relazione di Renzi molto netta sulla sua linea ma anche aperta ad alcune
opzioni della minoranza e dei sindacati ha dato il via a pochi
interventi utili e vicini alla realtà del lavoro e soprattutto del
non-lavoro, e ad alcuni interventi invece reciprocamente carichi di
animosità, acidità, voglia di rivalsa. Evidentemente ci sono scorie
della rottamazione, più psicologiche che politiche, che non sono
smaltite. Solo così si spiega come un leader come D’Alema sia potuto
arrivare a resuscitare la categoria dei “padroni”, annullando più di
trent’anni della sua maturazione politica e personale.
Sono così risaltati altri interventi più puntuali, da Poletti a
Epifani, da Soru a Fassino a Concia a Scalfarotto (fin quando abbiamo
seguito), con la punta prevedibilmente polemica di Fassina, radicale
sulla sua linea, indisponibile a mediazioni dato che vede aprirsi nel Pd
una vera divaricazione ideologica.
Di fronte a una discussione che svela il cattivo stato delle
relazioni interne al Pd, alla fine conterà comunque il risultato. Che
Renzi ha messo al sicuro: e non è poco.
L’asprezza dello scontro e delle resistenze non deve infatti
offuscare il dato principale, e cioè che il Pd s’è liberato di ogni
ipocrita inibizione nel chiamare le cose del lavoro come stanno: apartheid
tra garantiti e non garantiti rimane la definizione più pesante e
purtroppo appropriata. E, cosa più importante della mera presa d’atto
(che in effetti c’era già stata in passato, il che aggrava le
responsabilità dei gruppi dirigenti di allora), ora da essa muove una
iniziativa politica e di governo che verrà corretta, aggiustata,
migliorata; ma che in pochi mesi diventerà legge dello stato e nuova
disciplina dei rapporti di lavoro, e su questo Renzi non ha lasciato
dubbi, né possono sorgere anche guardando agli equilibri parlamentari:
paradossalmente, dopo la direzione di ieri è ancora più inverosimile che
la minoranza Pd voglia spingersi fino a minacciare la sopravvivenza del
governo.
Garantiscono per l’esito della vicenda non solo i rapporti di forza
politici, né la capacità comunicativa di Renzi, ma l’insostenibilità
della situazione attuale e la forza di argomenti che, messi insieme,
disegnano la nuova identità di una sinistra davvero popolare, nel senso
di vicina a ogni pezzo del suo popolo oltre gli steccati delle tutele,
delle garanzie, dei generi e delle generazioni.