domenica 6 luglio 2014

Senato, si allarga la crepa dentro il Pd.


Corriere della Sera 06/07/14
Monica Guerzoni

ROMA — Rompere il «patto del Nazareno». Mandare in pezzi l’asse «Renzi-Verdini-Berlusconi» e convincere il premier che il Pd può approvare le riforme senza bisogno di «stampelle». È questa la nuova frontiera della minoranza pd, che insiste per modificare il Senato delle autonomie e preme per le preferenze. Non per sabotare, assicurano i bersaniani e i «ribelli» di Palazzo Madama, quanto per impedire una «deriva plebiscitaria».

Lo dice con forza il bersaniano Miguel Gotor: «Le ragioni del patto del Nazareno di gennaio si comprendono. Ma adesso risulta oscuro il perché siano sempre Verdini e Berlusconi a dettare le condizioni. Il Pd rischia di essere subalterno a Forza Italia e di aprire la strada a una deriva oligarchica e plebiscitaria». Un attacco alla linea renziana e una proposta: «Perché non trasformiamo la forza dei nostri voti, conquistati anche grazie a Renzi, in una energia autonoma? Non si può più scherzare, qui c’è in gioco la democrazia». I numeri sono dalla parte di Renzi, che con i voti di Forza Italia (e della Lega) è vicino alla meta. Ma i dissidenti non si arrendono e la fronda può saldarsi con la minoranza di Bersani e Cuperlo. «Io non mollo — rilancia Vannino Chiti — Ci batteremo fino al referendum». Grillo ha fiutato l’aria e si prepara a soffiare sul vento della consultazione popolare, sperando che il nuovo Senato non ottenga i 2/3 dei voti. Asse pericoloso, quello tra i cinquestelle e i «ribelli» del Pd... «Quanti siamo? Rimarrei deluso — si appella ai colleghi Chiti — se almeno 15 dei senatori che si sono arruolati con me per entrare a Fort Alamo non mantenessero la posizione». La Fort Alamo di Chiti ha quattro pilastri: taglio dei deputati, elezione diretta dei senatori, no all’immunità e modifica delle norme sulle leggi non bicamerali. «Senza questi quattro aspetti — annuncia Chiti — io voterò contro il ddl costituzionale. O il patto del Nazareno salta, o avremo un Parlamento di nominati». E l’Italicum? «Se resta com’è, io non lo voto. Non esiste al mondo un sistema con tre soglie e le liste bloccate, non le accetterò mai. Con il partito personale che sta bene a Renzi, la democrazia parlamentare è a rischio». Mucchetti è sulla stessa linea e, come Chiti, rimprovera al segretario di aver «restaurato il centralismo democratico di derivazione comunista».

Debora Serracchiani dice di non avere nostalgia del Pd di Bersani «al 25 per cento», conferma che «la riforma del Senato è alla portata» e che il testo arriverà in Aula in settimana. Ma i punti esplosivi non sono stati ancora disinnescati: il più insidioso è la definizione della platea che elegge il capo dello Stato. Domani in assemblea toccherà a Luigi Zanda placare i suoi senatori. Per il bersaniano Alfredo D’Attorre «è inconcepibile avere un Senato che non viene eletto e una Camera di nominati», per lui l’Italicum «va cambiato» altrimenti Renzi rischia grosso: «In Parlamento non c’è una maggioranza per la legge che vuole Verdini. Schiacciarci sull’accordo con Berlusconi è proprio il modo per non farle, le riforme». Accenti che rimettono in gioco la gestione unitaria. Insospettito dal movimentismo di Bersani, il leader potrebbe ripensarci, lasciando la minoranza fuori dalla segreteria. Per il vice Lorenzo Guerini la guida collegiale «ha un senso se gli obiettivi sono condivisi, se invece diventa il caminetto delle correnti è una finzione, che non ci interessa». Niente sabotaggi, è il messaggio. Nessuno smarcamento. Il patto del Nazareno non si tocca: «L’impianto va mantenuto. Ogni modifica deve essere fatta con l’accordo di tutti. Niente blitz per cambiare i punti sostanziali. Non possiamo permetterci il rischio di far saltare il tavolo». Guerini concede «aggiustamenti» alle soglie dell’Italicum, ma non ci saranno modifiche senza l’ok di Berlusconi. Cuperlo insiste con le preferenze? E Orfini le boccia. Per Gotor le liste bloccate sono «una follia». E chi vince «non può prendersi tutto il cucuzzaro: governo, Quirinale, Csm».

 


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