Corriere della Sera 19/07/14
PIERLUIGI TRONCATTI
Da tempo la ricerca economica ha
individuato nelle città i motori dello sviluppo economico. Secondo
una ricerca del Mc Kinsey Global Institute appena pubblicata, nel
2025 nelle 60 top città del mondo si concentrerà un quarto della
ricchezza mondiale. New York, Tokyo, Londra e Parigi conserveranno
una posizione fra le prime 10, mentre Milano, Madrid, Boston, San
Francisco saranno scomparse dalla top list. Già oggi 8.000 imprese
sopra il miliardo di euro di giro d’affari si trovano nelle città
dei Paesi emergenti ma si stima che raddoppieranno entro il 2025, per
effetto di queste tendenze. Oggi in sole 20 città hanno sede un
terzo delle più grandi imprese del mondo. Domani saranno almeno 350
le città che ospiteranno almeno una grande azienda. In questo
contesto si capisce che la competizione fra le città per attrarre o
trattenere queste imprese sarà feroce. La minaccia è che le città
italiane possano subire un effetto di marginalizzazione crescente in
questo mappamondo della competitività. Questo scenario di declino
non è però ineluttabile, se lo si osserva dal punto di vista di una
realtà come Brescia. La ricerca del Mc Kinsey Global Institute
segnala che accanto alle grandi megalopoli ci saranno almeno 400
città di medie dimensioni la cui forza di attrazione è stimata da
qui al 2025 in un Pil aggiuntivo pari a quello degli Stati Uniti. In
questo gruppo possono figurare a giusto titolo alcune città
italiane, tra le quali Brescia potrebbe aspirare ad avere un posto.
Brescia ha un territorio ricco di imprenditorialità, di medie
imprese dinamiche, competitive anche sui mercati internazionali. In
provincia è facile trovare imprenditori che hanno innovato in
maniera profonda, nonostante la crisi. Brescia vanta una posizione di
leadership in molti settori e una vocazione verso l’export
superiore rispetto a quella riscontrabile in altre realtà italiane
ed europee ad essa paragonabili nel settore manifatturiero. Non si
possono tuttavia ignorare i nostri gap di competitività in molti
campi. Brescia per dimensioni è paragonabile a Utrecht, città
olandese di 240 mila abitanti. Da anni questa è in cima al ranking
della competitività UE delle prime dieci realtà europee, davanti a
Londra, Stoccolma e Parigi. Le differenze di contesto sono ovviamente
enormi tra queste realtà, ma non cosi grandi per vitalità
economica. Infatti Utrecht, nonostante sia un territorio di medie
dimensioni, supera tutte le altre risultando più attrattiva e
competitiva per i capitali e i talenti. Forse è solo un caso ma
quella è una città che da decenni ragiona in termini di città
metropolitana, di agglomerato economico unico con la sua area vasta,
che conta 1,2 milioni di abitanti. Che fa sistema sulla base di un
piano strategico e di investimenti condiviso tra gli attori pubblici
e privati, proiettato su un orizzonte di lungo periodo (Utrecht 2040)
e ispirato ai principi delle «smart cities». Da qui al 2020 sulle
materie indicate all’Italia spetteranno 30 miliardi circa di Fondi
strutturali, per cambiare e diventare più smart. Perché Brescia non
prova ad approfittarne, non per fare Utrecht, ma per rendere Brescia
più competitiva ed attrattiva?
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