Corriere della Sera 07/07/14
Tommaso Labate
La linea del Piave l’ha
fissata. E, nella domenica che lo accompagna alla settimana cruciale
sull’avvio del cantiere delle riforme, Matteo Renzi ha deciso. Tira
avanti come un treno verso la giornata di mercoledì, dove in Aula è
in programma l’avvio delle votazioni sulla riforma del Senato. E,
soprattutto, immagina un percorso che non prevede alcuna deviazione.
Nessuna deviazione di rotta sulla riforma dell’attuale seconda
Camera dello Stato, che per il presidente del Consiglio doveva e deve
trasformarsi in un organismo senza elezione diretta. Nessuna
deviazione sul dialogo con il M5S, visto che l’incontro in
programma oggi rimane sub judice , subordinato alle «risposte
chiare» che il movimento che fa capo a Beppe Grillo deve offrire al
testo di dieci punti inviato l’altro giorno dal gotha del Pd.
Ma
è verso i ribelli del Pd, adesso, che pare concentrata la
controffensiva politica dell’inquilino di Palazzo Chigi. Sembra un
fulmine a ciel sereno. Un fulmine che scuote una domenica pomeriggio
che pareva contrassegnata esclusivamente dal giro di valzer coi
grillini sull’eventuale appuntamento ch’era in programma per
oggi, e che invece rischia di saltare. È un’atmosfera, in fondo,
identica sulla carta a quella che si registra dentro Forza Italia.
Ma, a differenza di Silvio Berlusconi, sul dossier riforme Renzi ha
tanto da vincere ma anche molto da perdere. E, soprattutto, sa di non
poter sprecare altro tempo. Da qui la scelta di «tirare dritto».
Che ha molto a che fare non solo con la fronda pd del Senato, che
comunque era e rimane minoritaria. Ma anche con quella che, dopo
l’affondo dell’altro giorno firmato da Pier Luigi Bersani,
rischia di prendere piede anche fuori dai confini di Palazzo
Madama.
Dal cilindro, insomma, Renzi sta per tirare fuori
«un’iniziativa forte». Attacca per sperare di non rimanere
scoperto dietro, come gli allenatori che giocano con le tre punte. E
lo fa perché i segnali che arrivano anche dal Senato, uniti al
dibattito acceso che si sta sviluppando all’interno dei confini di
Forza Italia, non lo tranquillizzano neanche un po’. A Palazzo
Chigi, infatti, dev’essere arrivata l’eco di quello che potrebbe
succedere, alla vigilia del voto di mercoledì, a Palazzo Madama.
Senatori dell’opposizione (come Loredana De Petris) insieme a
colleghi del Pd (l’area che fa riferimento al tandem Vannino
Chiti-Corradino Mineo) e anche di Forza Italia (il blocco Minzolini)
non accennano a ritirate. Di più, qualcuno potrebbe tentare in
extremis di raccogliere le firme su un testo in cui si chiede a
Pietro Grasso di rinviare le prime votazioni. Il presidente del
Senato, rispetto alle richieste informali, ha resistito. «C’è
stata una deliberazione della conferenza dei capigruppo». E stop. Ma
basterà a fermare l’eterogeneo fronte del dissenso, che insiste
sull’elezione diretta dei senatori? «Stiamo andando a tutta
velocità verso una destinazione che nessuno di noi conosce. Ma vi
pare normale che l’Aula sia chiamata a esprimersi su un testo che
nessuno ha mai visto?», scandiva ieri pomeriggio Mineo. Sembra
tutt’altro che una discesa dalle barricate. Anzi, è l’esatto
contrario.
Per questo Renzi ha deciso di battere un colpo. Ed è
lo stesso motivo che ha spinto il Pd a rimettere in discussione
l’incontro con i 5 Stelle di oggi. Sia chiaro, tra i democratici in
tanti hanno apprezzato i toni dell’intervista rilasciata ieri al
Corriere da Luigi Di Maio. Ma la linea del Nazareno è che «o il M5S
formalizza in un documento la risposta ai dieci punti del Pd o
l’incontro rischia di essere inutile». Attaccare per non rimanere
scoperto dietro. Così nel gioco con la minoranza interna, così nel
giro di valzer coi grillini. «Il Movimento 5 Stelle risponda sui
dieci punti. Altrimenti è meglio non prendere tempo», mette a
verbale Davide Faraone, componente della segreteria democratica e
renziano doc. «Prima di risederci al tavolo col M5S serve
chiarezza», gli fa eco l’europarlamentare Simona Bonafè.
Nel
Movimento di Grillo, in serata, capiscono che la palla è nuovamente
nel loro campo. «Siamo sorpresi, valutiamo». Ci sono la notte e la
mattinata di oggi per costruire una replica. Il Pd sogna di aprire
una breccia tra l’ala dialogante del M5S (Di Maio) e gli
oltranzisti. Le ore passano. Mercoledì si avvicina. Tra mille
incognite.
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