Israele e Hamas d’accordo su un punto: respingere ogni mediazione
di pace. Tel Aviv ammassa carri armati al confine, missili palestinesi
sull’aeroporto della capitale
È stato il giorno dei no. Alle (timide) proposte di mediazione
per un cessate il fuoco, Hamas e Israele hanno opposto, quasi in
contemporanea, un secco niet.
Ci ha provato Fatah, alleato di governo di Hamas (almeno sulla carta,
una carta che ad oggi pare valere poco). «La priorità assoluta è
mettere fine agli attacchi e raggiungere un cessate il fuoco
bilaterale», si leggeva in un comunicato dell’Autorità nazionale
palestinese. Non se ne parla, ha risposto il movimento islamista che
controlla Gaza. Israele minaccia un’invasione di terra? «Non ci
sottomettiamo al ricatto», commenta Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas.
Dall’altra parte del confine i toni sono gli stessi. Benjamin
Netanyahu si è presentato in conferenza stampa a metà pomeriggio. Nella
notte tra giovedì e venerdì s’era sentita, dopo giorni di silenzio, la
voce di Barack Obama. Sono pronto a fare da mediatore tra le parti,
questa l’offerta del presidente. La replica del premier israeliano non
poteva essere più chiara: «Nessuna pressione internazionale potrà
impedirci di agire contro i terroristi a Gaza». Una replica a Obama, ma
anche alle Nazioni Unite: la responsabile dell’Onu per i diritti umani
Navi Pillay ha espresso «seri dubbi» sulla legalità dei bombardamenti
israeliani su Gaza, che hanno fatto vittime soprattutto colpendo
«abitazioni private». «Nessuna pressione», riecheggia il vocione di
Bibi.
Il numero delle vittime a Gaza continua a salire, oltre la soglia
simbolica dei cento cadaveri. I sistemi di difesa di Israele sono
riusciti finora a intercettare tutti i missili rivolti contro centri
abitati. Hamas ha provato a fare la voce grossa ieri mattina,
annunciando di voler intensificare gli attacchi contro l’aeroporto Ben
Gurion di Tel Aviv, uno scalo sia civile che militare. È soprattutto un
modo per evocare la paura israeliana dell’“isolamento” dall’Occidente.
Ma la sproporzione delle forze è evidente. Il capo di stato maggiore
dell’esercito israeliano, il generale Benny Gantz, ha comunicato ieri
che «siamo pronti a espandere l’attacco quanto necessario, dove
necessario, con tutta la forza necessaria e per tutto il tempo
necessario». Insomma, l’invasione di terra è già pronta, manca solo
l’ordine di partenza.
Ordine che, secondo molti osservatori, potrebbe arrivare nel corso
del fine settimana, forse stasera al termine del riposo del sabato. Non è
chiaro, invece, quale saranno la portata e l’obiettivo dell’attacco.
Israele vuole fermare il lancio dei razzi, certo, e per farlo può
bastare un’invasione di breve durata. Ma ieri Netanyahu ha infilato un
commento velenoso tra le sue dichiarazioni: «Non ero d’accordo, nel
2005, con il ritiro da Gaza». Cioè con la scelta di Ariel Sharon di lasciare il controllo della Striscia ad Hamas. Solo una minaccia, o un progetto politico?
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