Mario Gorlani
Siamo alla vigilia di una
“piccola” grande rivoluzione nel nostro assetto territoriale.
Dopo centoquindici anni, le Province cessano di essere enti
politici-rappresentativi, con organi di governo eletti direttamente
dai cittadini, per diventare enti di secondo livello, deputati
soprattutto a funzioni di coordinamento e di supporto dell’azione
dei Comuni.
Il 28 settembre, infatti,
e salvo rinvii, i 2596 sindaci e consiglieri comunali della Provincia
di Brescia saranno chiamati ad eleggere il nuovo Presidente e un
Consiglio provinciale di 16 membri. Contestualmente, e sempre salvo
rinvii, inizierà un processo di riordino e migrazione delle funzioni
provinciali verso la Regione, verso i Comuni o verso forme
associative, ambiti ottimali ed altri livelli intermedi che potranno
essere creati; fatte salve le funzioni in materia di pianificazione
territoriale, di tutela e valorizzazione dell’ambiente, di
trasporto locale e di rete stradale provinciale, di gestione
dell’edilizia scolastica e di centrale di committenza per appalti e
concorsi, che rimarranno alla Provincia.
In un Paese come il
nostro, in cui le resistenze ai cambiamenti sono così difficili da
vincere, e in cui i propositi di riforma si trascinano per anni in
modo inconcludente, la riforma delle Province costituisce in sé una
buona notizia, da salutare come il segno positivo che qualcosa si
muove; e ciò a prescindere dalle perplessità sulla legittimità
costituzionale della legge, dalla fretta con cui è stata scritta, e
dalla confusione che, inevitabilmente, si genererà nella transizione
verso il nuovo assetto.
Nessuna riforma, però,
per quanto buona sia, è in grado di funzionare e di rispondere
efficacemente alle aspettative che l’hanno motivata, se non viene
vissuta e applicata correttamente dai soggetti a cui è destinata. E
questi soggetti sono, soprattutto, i Comuni e le comunità locali,
che sono chiamate ad essere le vere protagoniste della riforma, e a
cui la legge lancia in prima persona la sfida del cambiamento.
Fino ad oggi, il rapporto
tra i livelli territoriali (Comuni, Province, Regioni) si è
configurato soprattutto come un rapporto problematico, di diffidenza
reciproca se non di aperta conflittualità: con esiti del tutto
insoddisfacenti sia – nell’ottica comunale – in termini di
efficacia e tempestività dell’azione amministrativa, sia –
nell’ottica provinciale o regionale – in termini di capacità di
una visione d’insieme, di programmazione e di sviluppo del
territorio nel suo complesso.
Da oggi la Provincia come
soggetto politico non esisterà più. Dovranno essere gli stessi
Comuni a dialogare tra loro, dovranno superare le logiche di
schieramento politico e i campanilismi, per trovare negli organi
provinciali il punto di sintesi di una visione di insieme, che non si
risolva nella mera sommatoria di tanti particolarismi o, peggio,
nello scambio di interessi tra singoli territori.
Dalla capacità di
raccogliere questa sfida misureremo il senso di responsabilità della
nostra comunità locale e l’ambizione di uscire dalle secche della
crisi e dal declino a cui da troppi anni sembriamo condannati. Ciò
che ci dà qualche ragione di ottimismo è la constatazione che,
nella grande maggioranza dei comuni bresciani, si è insediata nelle
ultime elezioni una classe politica amministrativa nuova, giovane e
motivata, che confidiamo sia capace di affrontare l’amministrazione
locale con logiche diverse e senza i retaggi del passato.
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