La reciproca prova di forza era inevitabile, il contingentamento
dei tempi al senato come risposta alla paralisi imposta
dall'ostruzionismo. Consumato lo scontro politico, si vedrà se ripartire
sulle questioni di merito.
È stato il giorno dei muscoli e delle grida. Era inevitabile, al
punto a cui si era arrivati. Tutti se ne rammaricano, ripetendosi
l’ovvietà che «non si modifica così la Costituzione», frase magari un
po’ paradossale quando viene pronunciata da chi a modificare la
Costituzione non ci avrebbe mai neanche provato. O da commentatori che
hanno costruito carriere su vibranti denunce della timidezza della
politica nel fare le riforme.
In realtà, la forzatura decisa dai capigruppo di maggioranza insieme a
Grasso era diventata un passaggio obbligato dopo l’indisponibilità
delle opposizioni a ridurre quegli ottomila emendamenti che avrebbero
trascinato la discussione fin oltre dicembre.
Come s’è capito benissimo, lo scontro di palazzo Madama non ha molto a
che fare col tema del bicameralismo, mentre c’entra parecchio col
tentativo di far abbassare la cresta a Matteo Renzi. Un confronto
esclusivamente politico. Un intento che giustifica la saldatura tra
forze eterogenee come quelle radunatesi davanti al Quirinale.
Se si coglie questo punto si capisce anche la risposta di Renzi,
convinto di non poter dare segni di debolezza in questo momento, pena il
venir giù di tutto l’edificio.
In generale, i problemi sono la conseguenza negativa di una
situazione che precede l’arrivo di Renzi a palazzo Chigi e risale
all’inizio della legislatura, ovvero la coincidenza tra mandato di
governo e mandato per le riforme istituzionali: o il governo ci prova (e
si arriva allo scontro), oppure non ci prova, e allora abbiamo lo
stallo sperimentato finché c’era Letta.
Rimane il fatto che sulle modifiche alla Costituzione, pur non
potendo tenere insieme tutti, è meglio allargare che escludere. Lo si è
tentato finora, ci si è riusciti solo in parte, bisognerà ricominciare a
tentare appena si sarà consumato il rito reciproco (e, ripetiamo,
inevitabile) dell’esibizione muscolare. Questo anche per scaricare
Napolitano dall’improprio onere di mediazione che gli finisce
puntualmente sulle spalle.
I margini di recupero, come quasi sempre in politica, ci sono, tra Pd
e Sel ma non solo. Vendola vorrà evitare di finire definitivamente
confuso con gli sbandamenti tatticisti di Cinquestelle, e sa di non
poter pretendere che il Pd rinunzi ai suoi paletti, in primis
l’elezione indiretta dei senatori. Vedremo presto se, ristabilito il
diritto della maggioranza ad andare avanti, si riaprirà una sana
discussione sul merito.
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