mercoledì 16 luglio 2014

“C’è un patto implicito tra Jean-Claude e Renzi più riforme più flessibilità”


EUGENIO OCCORSIO
La Repubblica - 16/7/14

«Juncker ha concesso il massimo possibile. Ha richiamato le regole di bilancio perché formalmente non poteva fare altrimenti, ma ha dato una serie di sostanziali aperture perché l’Europa sostenga la crescita ». Nouriel Roubini si associa a quanti giudicano favorevolmente il discorso del neo-presidente della commissione Ue. «Certo, ha attribuito pari dignità al consolidamento fiscale e alle riforme strutturali, ma era inevitabile. Insieme alla strategia di crescita costituiscono i tre pilastri del rilancio da affiancare alle misure della Bce. Juncker sa bene che all’Europa spetta la prima mossa in termini di flessibilità, ma non poteva dirlo ufficialmente in modo più esplicito». Il guru della New York University ha seguito la giornata di Strasburgo attraverso i resoconti di Brunello Rosa, l’economista proveniente dalla Bank of England oggi responsabile per le macrostrategie del thinktank Roubini Global Economics. E in teleconferenza a tre avviene questo colloquio.
Si era tanto detto che Renzi aveva sparato fuori bersaglio quando aveva indossato i guantoni contro i restraints dell’Europa sulla crescita, in confronto alle politiche espansive di Obama. Invece ora sembra che Juncker gli dia ragione...
«Con il governo italiano si è aperto un gioco di equilibri: tu, dice Juncker, vai avanti con le riforme, io ti darò una flessibilità condizionata e attentamente misurata. Noi, ribatte Renzi, ti appoggiamo ma stai attento a darcela sul serio, questa flessibilità. Non dimentichiamo che sono in ballo le nomine a Bruxelles, e se davvero agli Affari monetari andrà lo spagnolo Luis De Guindos la cesura col passato sarà importante. Comunque Juncker è stato esplicito su quattro punti».
Quali?
«Primo: i salari minimi europei. Non è una banalità anche se apre un parziale problema di finanziamenti. È una mossa per mettere uno stop alla caduta dell’inflazione in una tipica dinamica disinflattiva. Secondo: i Paesi che stanno facendo uno sforzo di riforma devono ricevere incentivi finanziari, un po’ come l’approccio contrattuale di cui parlava Van Rumpuy: se fai le riforme, avrai elasticità. Terzo: i 300 miliardi di piano sono davvero un grosso impegno, specie se si guarda ai settori d’investimento come l’energia, un comparto fi- nora lasciato all’iniziativa degli Stati in cui possono muoversi somme notevoli. Quarto: non affamiamo i Paesi, attenzione all’impatto sociale dei salvataggi».
Renzi per la verità si era accanito più che altro contro la Bundesbank, rea di interferenze politiche.
«La Bundesbank fa il suo mestiere di controllore della moneta. L’opposizione apparentemente preconcetta a progetti di ampio respiro, dalla riunificazione tedesca al cambio uno-uno del marco, addirittura fino alla costruzione dell’euro, la intende come salvaguardia della sua indipendenza dal potere politico».
L’Europa peraltro ha la sua di Banca centrale, e Draghi poche ore prima di Juncker aveva confermato il suo attivismo monetario. Quante possibilità ci sono che parta il quantitative easing modello Francoforte?
«Che ci sia un orientamento a favore dell’intervento è chiaro. Ma c’è da considerare che la Bce ha annunciato le nuove emissioni “Tltro”, i finanziamenti straordinari alle banche, per settembre e dicembre, e difficilmente potrà partire prima con l’acquisto generalizzato dei titoli, il QE. Perché le banche potrebbero dire: le risorse le avremo ugualmente grazie all’attivismo della Bce, perché aderire alle aste delle Tltro, che per quanto basso (circa lo 0,25%, ndr) un certo interesse lo comportano?» Quindi fino all’anno prossimo non se ne parla?
«Non è detto, perché l’asta più importante, che darà la misura del successo dell’iniziativa, è la prima. Piuttosto, c’è un problema: la Bce non ha predisposto meccanismi più cogenti per garantire che, come promesso, i fondi vadano a finanziare l’economia reale. Finora le penalità sono così esigue che c’è il pericolo che le banche finiscano ancora una volta con l’acquistare titoli di Stato per aggiustarsi i bilanci».
In quest’affannosa corsa alla ripresa fra poco interverrà il fattore-rialzo dei tassi Usa. Con quali conseguenze?
«Non è una questione attuale. Il Fmi ha abbassato al 2% il tasso di crescita previsto degli Usa nel 2014, dimostrando che c’è ancora tempo per cambiare la politica dei tassi zero. La stessa Yellen ha fatto capire che prima della seconda metà del 2015 non se ne parla. Piuttosto, c’è da seguire la fine del QE in America: è una staffetta con la Bce che invece vorrebbe cominciarlo».



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