I dissensi nel Pd non si sono allargati. Si profila una maggioranza sufficientemente ampia
Non crediamo che il premier farà il gradasso e dirà così, ma certo “gufi” e “rosiconi” questa partita l’hanno persa.
Specie con gli ultimi miglioramenti (vedi l’innalzamento del quorum
per l’elezione del capo dello stato) il progetto governativo sul nuovo
senato sembra filare spedito, tanto che la maggioranza di governo ne
auspica l’approvazione entro la settimana prossima con il voto
favorevole di Pd, Ncd, Sc, Gal, FI e Lega. Una maggioranza parecchio
larga, un buon viatico per il successivo passaggio alla camera; poi,
dopo i tre mesi imposti dalla Costituzione, altre due letture, e infine
il referendum confermativo, occasione per ascoltare il popolo sulla
credibilità di questa riforma dentro un quadro più complessivo di
trasformazione dello stato. È la prima vera vittoria del premier.
Quello uscito dalla commissione è un buon testo. Che non si discosta
dall’impostazione di fondo del governo: un senato non elettivo, in grado
di rappresentare l’insieme dei governi locali; non più un doppione
della camera “politica” ma pur sempre un’assemblea dotata di poteri
molto importanti.
A differenza di quanto hanno raccontato diversi giornali, il dissenso
di una dozzina di senatori dem non si è allargato, a riprova che le
argomentazioni non erano così persuasive: e d’altra parte la battaglia
per l’eleggibilità dei senatori – che di fatto avrebbe riproposto la
sostanza del bicameralismo perfetto – non poteva non apparire di
retroguardia, e dunque ad attrattiva zero. Mineo ora si lamenta per
l’accelerazione dopo che due giorni fa stigmatizzava una perdita di due
mesi di tempo: bisognerebbe saper perdere le battaglie mantenendo un
filo di razionalità.
Il governo ha tessuto una tela paziente e resistente, in grado di
reggere la spinta dei dissidenti e di aggregare forze di opposizione
come FI e la Lega (mentre resta ancora contraddittoria l’impostazione
generale del M5S sul tema delle riforme), anche se ha dovuto correggere
svariati punti del suo progetto originario e lasciare ancora qualche
margine di ambiguità sul punto dell’immunità dei nuovi senatori.
Ci ha creduto, Matteo Renzi, non ha mollato mai. E alla fine porta a
casa il primo sì a una riforma del sistema italiano. Non sarà tutto, ma
non è davvero poco, di questi tempi.
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