Internazionale 11 luglio 2014
Gideon Levy
giornalista israeliano. Scrive per il quotidiano Ha’aretz.
In seguito al rapimento e all’uccisione di tre ragazzi
israeliani nei Territori occupati, Israele ha arrestato in maniera
indiscriminata circa cinquecento palestinesi, tra cui alcuni
parlamentari e decine di ex detenuti già scarcerati che non avevano
alcun legame con il sequestro. L’esercito israeliano ha seminato il
terrore in tutta la Cisgiordania con retate e arresti di massa allo
scopo dichiarato di “schiacciare Hamas”.
Su internet ha imperversato una campagna razzista in seguito alla
quale un adolescente palestinese è stato bruciato vivo. Tutto questo
dopo che Israele aveva intrapreso un’offensiva contro il tentativo di
creare un governo di unità palestinese che il mondo era pronto a
riconoscere, aveva violato l’impegno a scarcerare dei detenuti, aveva
congelato la via diplomatica e aveva rifiutato di proporre un piano
alternativo per continuare il dialogo.
Pensavamo davvero che i palestinesi avrebbero accettato tutto questo
in modo remissivo, obbediente e calmo, e che nelle città israeliane
avrebbero continuato a regnare la pace e la tranquillità?
Cosa credevamo, noi israeliani? Che Gaza sarebbe vissuta per sempre
all’ombra dell’arbitrio di Israele (e dell’Egitto), alternando momenti
di lieve allentamento delle restrizioni imposte ai suoi abitanti a
momenti di penoso inasprimento? Che il carcere più vasto del mondo
sarebbe continuato a essere un carcere? Che centinaia di migliaia di
residenti a Gaza sarebbero rimasti tagliati fuori per sempre? Che
sarebbero state bloccate le esportazioni e decretate limitazioni alla
pesca? Ma di cosa deve vivere un milione e mezzo di persone? Qualcuno sa
spiegare perché prosegue il blocco, benché parziale, di Gaza? Qualcuno
sa spiegare perché del suo futuro non si discute mai? Credevamo davvero
che tutto sarebbe andato avanti come prima e che Gaza l’avrebbe
accettato passivamente? Chiunque lo abbia creduto è stato vittima di un
pericoloso delirio, e adesso il prezzo lo stiamo pagando tutti.
Però, per favore, non mostratevi stupiti. Non ricominciate a gridare
che i palestinesi fanno piovere missili sulle città israeliane senza
motivo: certi lussi non sono più ammissibili. Il terrore che provano
adesso i cittadini israeliani non è più grande del terrore che hanno
provato le centinaia di migliaia di palestinesi vissuti per settimane
nell’attesa che nel bel mezzo della notte i soldati gli sfondassero le
porte e gli invadessero le case per perquisire, smantellare,
distruggere, umiliare e poi magari portarsi via un membro della
famiglia.
La paura che stiamo vivendo noi israeliani non è più grande di quella
vissuta dai bambini e dagli adolescenti palestinesi, alcuni dei quali
sono stati uccisi inutilmente in queste ultime settimane dall’esercito
d’Israele. La trepidazione che provano gli israeliani è sicuramente
minore di quella che provano gli abitanti di Gaza, che non hanno allarmi
rossi né rifugi né un sistema antimissile come Iron dome che li salvi,
ma soltanto centinaia di terrificanti incursioni dell’aviazione militare
israeliana che si concludono con la devastazione e la morte di
innocenti, compresi anziani, donne e bambini: ne sono già stati uccisi
durante l’operazione in corso, come durante tutte quelle che l’hanno
preceduta.
Quest’operazione ha già un nome puerile, Protective edge, Margine di
protezione. Ma l’operazione Protective edge è cominciata e si concluderà
come tutte le precedenti, cioè senza assicurarci né la protezione né il
margine. I mezzi d’informazione e l’opinione pubblica israeliani
esigono il sangue dei palestinesi e la loro distruzione, e il
centrosinistra è d’accordo, naturalmente, così come è sempre d’accordo
all’inizio. Il seguito, però, è già scritto da un pezzo nelle cronache
di tutte le operazioni insensate e sanguinarie condotte a Gaza in ogni
epoca. Stupisce, semmai, che da un’operazione militare all’altra sembra
che nessuno impari niente. L’unica cosa che cambia sono le armi
impiegate.
È vero che inizialmente il primo ministro Benjamin Netanyahu ha
reagito con moderazione, e per questo è stato debitamente elogiato, ma
certo neanche lui poteva starsene fermo davanti ai missili sparati da
Gaza. Comunque tutti sanno che Netanyahu non aveva alcun interesse a
questo scontro.
Ma le cose stanno proprio così? Se davvero lo scontro non gli
interessava, avrebbe dovuto perseguire seriamente delle trattative
diplomatiche. Invece non l’ha fatto, quindi è chiaro che in realtà gli
interessava eccome. Il suo quotidiano, Israel Hayom (“Israele oggi”), è
uscito con titoli strillati: “Vai fino in fondo”. Ma Israele non
raggiungerà mai il pazzesco “fondo” auspicato da Israel Hayom, e
comunque non certo con la forza.
“Non c’è modo di sfuggire al castigo per ciò che sta succedendo qui
da quasi cinquant’anni”, ha dichiarato lo scrittore David Grossman in
occasione della Conferenza israeliana sulla pace, che si è aperta a Tel
Aviv l’8 luglio. Queste parole sono state pronunciate solo poche ore
prima che l’ultimo castigo nella lunga catena di delitti e castighi si
abbattesse sui civili israeliani, così innocenti e senza colpa.
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