mercoledì 30 luglio 2014

L’odio verso i cristiani in Medio Oriente. L’Europa non c’è

Pierluigi Castagnetti 
Europa  

Il dovere di “pensare” e aiutare i popoli mediorientali ad accettare le vie della ricostruzione di una geografia politica rispettosa dei diritti di sopravvivenza e convivenza di tutti
Le drammatiche notizie che continuano a pervenire da Israele e Gaza stanno scuotendo il mondo intero, costretto ad assistere pressochè paralizzato perché, ancora a cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale, non è riuscito a costruire la forza della politica e della diplomazia nei conflitti internazionali. Anche la “nostra” guerra nacque così, nella distrazione e sottovalutazione delle potenze europee, bloccate dalla convinzione dell’ineluttabilità. E pure oggi, in presenza di una guerra che ha già provocato la morte di oltre mille persone nel cuore dell’Europa, l’Europa sembra assente.
Comunque immobile, come se le cose potessero sistemarsi da sé e non rischiassero invece di innestare nuovi processi di intensificazione e allargamento. Figuriamoci se “questa” Europa, divisa ed egoista, può posare il suo sguardo su quanto sta accadendo nel perimetro del Mediterraneo e nell’entroterra più prossimo. Non basta giustificarsi dicendo che al punto in cui sono giunte le cose non si sa cosa fare. Occorreva – e occorrerà nell’immediato futuro – lavorare perché le cose non giungessero a questo punto, posto che nulla di quanto sta accadendo era imprevedibile.
Anzi, negli ultimi anni alcune delle maggiori potenze europee si sono rese responsabili dell’aggravamento della situazione, come nel caso della guerra in Iraq e dell’improvvisato sostegno a quelle che avrebbero dovuto essere le primavere arabe. Pensare che il modello di democrazia occidentale potesse essere esportato e rappresentare la soluzione per paesi pur oppressi da forme di dittature giustamente inaccettabili ai nostri occhi, senza un esame serio dei diversi contesti e senza una strategia di sostegno effettivo e duraturo è stato un errore.
Da più parti a suo tempo si è sottovalutato (quando non ridicolizzato) l’ammonimento di un profondo conoscitore del mondo arabo e in particolare mussulmano come don Giuseppe Dossetti, secondo cui la lunga memoria di quei popoli, la loro attitudine a sedimentare l’odio, la loro propensione all’uso della violenza come strumento di dominio ed espansione religiosa, avrebbe portato a un continuo rivolgimento degli equilibri in tutta l’area del vicino e Medio Oriente e, da ultimo, alla espulsione progressiva dei cristiani da luoghi per loro sacri.
Ne hanno parlato in queste settimane su Europa tra gli altri Guido Moltedo, Aldo Maria Valli e da ultimo, con un articolo che in effetti è un bellissimo saggio storico, Franco Cardini. Di per sé qualcuno potrebbe pensare che si tratterebbe di una non-notizia poiché i cristiani dovrebbero conoscere e accettare il destino della Croce, ma la politica ha il dovere di altro tipo di ragionamento e responsabilità. Deve cioè intervenire là dove si perpetuano ingiustizie e violenze, e l’espulsione dei cristiani dai loro Luoghi ha un rilievo politico enorme. Non fosse altro perché la loro presenza lì ha il merito e il valore della rappresentazione di un pensiero “altro” rispetto a quello di culture dominanti che non conoscono, o non conoscono in misura sufficiente, i valori del perdono, della solidarietà, della vita, della convivenza, del pluralismo religioso, senza di cui sarà assai difficile cambiare la situazione.
Quanto sta accadendo, nei conflitti fra sciiti e sunniti, fra islamici in genere e curdi, fra islamici e cristiani, fra israeliani e palestinesi, è l’affermazione di un sistema di controvalori rispetto a quelli del cristianesimo. Se tale sistema di controvalori lo si lascia crescere e dilagare, ciò che osserviamo oggi potrà risultare solo la prima parte di un processo che può investire direttamente e indirettamente anche l’Europa.
Anche per ciò la denuncia di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, sull’“Indifferenza che uccide”, riguardo al fenomeno delle persecuzioni dei cristiani, a causa della perdita in occidente del senso religioso e della paura che paralizza soprattutto l’Europa, è condivisibile, ed evocherebbe – a mio avviso – una iniziativa del nostro governo che, per bocca del suo presidente in varie occasioni, ha mostrato sensibilità e anticonformismo rispetto ad altri governi dell’Unione, e ha anche ottenuto un risultato importante con la liberazione di Meriam, la ragazza sudanese condannata a morte per la sua fede cristiana.
Non c’è dubbio infatti che l’occidente negli ultimi venti anni si è mostrato privo di strategia al riguardo. L’Europa non ne parliamo. Così come non c’è dubbio che se scattassimo una istantanea oggi sul quadro mediorientale, non possiamo che riconoscere che ha ragione Israele nel pretendere di disarmare i palestinesi di Gaza, cioè l’arsenale militare e ideologico che attenta alla sua esistenza (pur non avendo ragione nell’uso sproporzionato di forza militare e nell’assoluto rifiuto di fermarsi di fronte ai drammatici costi umani che esso determina), ma se solo allarghiamo la prospettiva sul piano storico e su quello del futuro prevedibile, non possiamo non renderci conto che di questo passo il conflitto è destinato a sfuggire di mano e ad accumulare ulteriori e ancora più poderosi serbatoi di odio destinati a rendere in primo luogo ancora più insicura l’esistenza “in pace” di Israele stesso. La spirale va fermata sin che si è in tempo.
Cosa accadrebbe infatti se i palestinesi della Cisgiordania aderissero (vi sono già manifestazioni di piazza a Ramallah, piuttosto inquietanti) alla ripetute sollecitazioni provenienti dall’Iran e dal Qatar ad aprire un nuovo fronte? E se (sto parlando di scenari tutt’altro che improbabili) crollasse la Giordania sotto la pressione dei miliziani dell’Isis, i quali sono già penetrati a Mann, a soli 250 kilometri da Amman? Israele si sentirebbe più sicura? Non credo proprio.
Ma torniamo alla riflessione del professor Cardini. Ieri ha scritto che, a un certo punto della storia recente: «La pesante e spregiudicata politica britannica cominciò a diffondere tra le popolazioni arabe un pregiudizio nuovo, per esse prima sconosciuto: l’astio verso gli occidentali. E dal momento che era (e resta) comune la confusione tra Occidente e Cristianità, l’odio antioccidentale si andò traducendo da allora anche in odio indiscriminatamente anticristiano». La guerra contro l’Iraq – aggiungo io – ha fatto il resto. All’odio verso gli ebrei si è così aggiunto quello verso i cristiani.
Ecco perché l’Europa, che nella sua coscienza da un lato porta il peso della shoah e dall’altro è custode di quei valori cristiani che hanno forgiato la civiltà della tolleranza e del pluralismo religioso, ha oggi il dovere di “pensare” e aiutare i popoli mediorientali ad accettare le vie della ricostruzione di una geografia politica rispettosa dei diritti di sopravvivenza e convivenza di tutti.
Accogliendo in tal modo l’appello disperato di tanti donne e uomini di pace guidati da Nurit Peled, cittadina israeliana che ha perso una figlia in un attentato kamikaze, Premio Sakharov dell’Ue: «Noi cittadini di Israele e popolazione senza Stato della Palestina, non possiamo da soli ottenere la fine dell’occupazione e fermare il bagno di sangue. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutta la comunità internazionale e della Unione europea in particolare…».

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