giovedì 10 luglio 2014

Gaza sotto attacco. E nessuna idea di come risolvere la crisi

Lorenzo Biondi 
Europa  

Cinquanta morti nella Striscia, missili su Israele. L’invasione potrebbe cominciare presto, dice Peres. L’America chiede un allentamento della tensione, dai leader minacce incrociate
Tutti i segnali dicono: guerra. Non c’è ancora un ultimatum, una data per l’attacco di terra israeliano contro Gaza. Ma gli eventi sembrano scivolare verso l’esplosione di un conflitto su più larga scala. Questo, almeno, senza un intervento esterno che fermi l’inerzia.
Persino una “colomba” come il presidente israeliano Shimon Peres, intervistato ieri sera dalla Cnn, riconosceva che l’offensiva di terra potrebbe essere «imminente». Quello di Peres non era un ultimatum, al contrario. Il presidente uscente ha spiegato che «faremo tutto il possibile per evitare l’attacco di terra»: se però il lancio di razzi dalla Striscia di Gaza non si fermerà, la guerra sarà inevitabile. Più che una minaccia, un disperato invito alla ragionevolezza.
Le due parti del conflitto, però, continuano a rimpallarsi la responsabilità della crisi di questi giorni. Benjamin Netanyahu invoca il diritto all’autodifesa di Israele, e insieme annuncia di voler «annientare» Hamas. Dal canto suo il leader politico del movimento islamista, Khaled Meshaal, ieri ha puntato il dito contro il governo israeliano, colpevole – a suo dire – di aver fatto «naufragare il piano di pace di John Kerry». Hamas insomma, mentre minaccia di fare strage di israeliani, indica per la prima volta come punto di riferimento la mediazione americana.
Può suonare quasi come un appello agli Stati Uniti. Barack Obama, per ora, sta mandando avanti i portavoce della Casa Bianca. Che dopo aver ribadito il diritto di Israele all’autodifesa, hanno anche chiesto a «entrambe le parti di procedere a una de-escalation della tensione». Difficile che accada, senza l’intervento di un mediatore. Un ruolo svolto in passato dall’Egitto, i cui rapporti con Hamas, però, si sono raffreddati dopo l’ascesa al potere del generale Abdel Fattah al Sisi e la messa al bando della Fratellanza musulmana.
Ad oggi è difficile immaginare l’avvio di una trattativa. Il conto delle vittime da parte palestinese, ieri sera, era salito oltre quota cinquanta, in massima parte civili. Nessuna vittima israeliana, ma i razzi lanciati dalla Striscia hanno colpito a più di cento chilometri di distanza da Gaza.
Il segretario di stato americano John Kerry conclude oggi il suo viaggio in Cina. Ha già avuto contatti con Netanyahu, non ancora col palestinese Abu Mazen. Ma senza una mediazione attiva – e in tempi rapidissimi – «il sangue chiamerà altro sangue», ammette uno sconsolato Peres.

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