SALVO PALAZZOLO
La Repubblica - 29/7/14
Il caso. Il boss Alessandro D’Ambrogio
è in carcere a Novara ma domenica, a Palermo, la sfilata del Carmine
gli ha reso onore davanti al luogo simbolo di Cosa Nostra. La chiesa:
“Ancora una sosta anomala”
Un uomo di mezza età, con la casacca
della confraternita di Maria Santissima del Monte Carmelo, urla:
«Fermatevi». E così la processione della madonna del Carmine si
ferma, mentre la banda continua a suonare. La vara tutta dorata di
Maria immacolata si ferma davanti all’agenzia di pompe funebri
della famiglia del capomafia Alessandro D’Ambrogio, uno dei nuovi
capi carismatici di Cosa nostra palermitana. Lui non c’è,
rinchiuso dall’altra parte dell’Italia, nella sezione “41 bis”
del carcere di Novara, ma è come se fosse ancora qui, tra i vicoli
di Ballarò.
Questo accadeva domenica, intorno alle
19: la processione ferma per quasi cinque minuti davanti all’agenzia
di via Ponticello, tra la gente in festa per l’arrivo della statua
della madonna. Fino a un anno e mezzo fa, in questi uffici arrivavano
solo poche persone, scendevano da auto e moto di lusso e si
infilavano velocemente dentro. Nell’agenzia di pompe funebri dove
la processione si è fermata Alessandro D’Ambrogio organizzava i
summit con i suoi fedelissimi, ripresi dalla telecamera che i
carabinieri del nucleo investigativo avevano nascosto da qualche
parte. Ecco perché questo luogo è un simbolo per i mafiosi di tutta
Palermo, il simbolo della riorganizzazione di Cosa nostra, nonostante
la raffica di arresti e di processi. Ecco perché il capomafia di
Ballarò sembra ancora qui: la processione gli rende omaggio nella
sua via Ponticello, a due passi dall’atrio della facoltà di
Giurisprudenza dove sono in bella mostra le foto dei giudici Falcone
e Borsellino il giorno della loro laurea.
È questa l’ultima cartolina di
Palermo. Ancora una volta, diventa sottilissimo il confine fra mafia
e antimafia. Quasi non esiste più confine fra sacro e profano. Due
anni fa, D’Ambrogio portava orgoglioso la vara di questa madonna
con la casacca della confraternita. Adesso è accusato di aver
riorganizzato la mafia di Palermo, aver diretto estorsioni a tappeto
e traffici di droga milionari. Ma la processione continua a rendergli
onore.
I tre fratelli del padrino sono tutti
lì, davanti all’agenzia di pompe funebri, per accogliere la festa
più importante dell’anno. Franco, con amici e parenti. Iano e
Gaetano un po’ in disparte. I fratelli D’Ambrogio non sono mai
stati indagati per mafia, ma non è per loro che si ferma la
processione. Sembra una sosta infinita, la più lunga di tutto il
corteo. Anzi, soste ce ne sono ben poche lungo il percorso. Per i
giochi d’artificio o per le offerte di alcuni fedeli. I D’Ambrogio
non fanno né fuochi d’artificio, né offerte. Chiedono ai confrati
di portare sin sulla statua due bambini della famiglia. Poi, Franco
D’Ambrogio saluta con un sorriso. E la processione riprende.
«È stata una fermata anomala»,
ammette fra’ Vincenzo, rettore della chiesa del Carmine Maggiore.
«Anche quest’anno è accaduto», sussurra il giorno dopo la
processione. «Io ero avanti, su via Maqueda, stavo recitando il
santo rosario. A un certo punto mi sono ritrovato solo. Ho capito,
sono tornato indietro di corsa, e ho visto la statua della madonna
ferma. Qualcuno stava passando un bambino ai confrati, per fargli
baciare la Vergine. Cosa dovevo fare? Era pur sempre un atto di
devozione quello. Qualche attimo dopo, la campanella è suonata e la
processione è andata avanti».
Adesso, frate Vincenzo cerca con dolore
le parole: «Avevo cercato di esprimere concetti chiari durante la
preparazione del triduo della Madonna, richiamando tutti al senso di
questa processione così importante. Ho detto certe cose nel modo più
gentile possibile, per evitare reazioni, ma le ho dette. Ed è
accaduto ancora. Cosa bisogna fare?». Il frate va verso l’altare.
«Cosa bisogna fare?», ripete. Da quando l’anziano sacerdote si è
ammalato lui è solo nella frontiera di Ballarò, che continua ad
essere il regno dei D’Ambrogio, nonostante i blitz disposti dalla
procura antimafia.
«Da qualche tempo, la Curia si sta
muovendo in modo deciso — il tono della voce di fra’ Vincenzo
diventa più sollevato — sono stati chiesti gli elenchi dei
componenti delle confraternite, e poi il cardinale ha inviato suoi
rappresentanti alle processioni ». Anche domenica pomeriggio, a
Ballarò, c’era un ispettore inviato dal cardinale Paolo Romeo.
Perché Cosa nostra continua ad essere molto legata ad alcune
processioni. Uno degli ultimi boss arrestati, Stefano Comandè, era
addirittura l’autorevole superiore della Confraternita delle Anime
Sante, che organizza una delle più importanti processioni del
Venerdì Santo a Palermo. I carabinieri l’hanno fermato alla
vigilia di Pasqua, poche ore dopo aver portato in giro per il
quartiere della Zisa le statue di Cristo morto e di Maria Addolorata:
le microspie hanno svelato che Comandè era fra i registi di una
faida che stava per scoppiare. La Curia l’ha rimosso e ha sciolto
la confraternita. Anche perché il boss devoto non si rassegnava e
dal carcere faceva sapere tramite i familiari: «A giugno faremo
un’altra grande processione. E alla confraternita nomineremo una
brava persona». Ma questa volta l’intervento della Chiesa è stato
severissimo: «Scioglimento della confraternita a tempo indeterminato
per infiltrazioni mafiose». È la prima volta che accade in Sicilia.
Alessandro D’Ambrogio, invece,
nessuno l’ha ancora sospeso dalla confraternita di Ballarò. Anche
il suo vice, Tonino Seranella, è un devoto speciale della
processione di fine luglio, pure lui due anni fa spingeva la vara per
le strade del popolare mercato palermitano. E le mamme del quartiere
facevano a gara per affidare il loro bambino a D’Ambrogio. Era il
boss di Ballarò che offriva i piccoli al bacio della madonna del
Carmine.
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