mercoledì 11 dicembre 2013

Una roccia davanti alla rivolta

Stefano Menichini 

Europa  

Volevano che si limitasse al paziente lavoro di “ricostruzione del partito”, da bravo segretario di una volta? Macché, Matteo Renzi deve salvare la democrazia
Meno male che doveva essere l’avventura di un ragazzo sconsiderato e ambizioso, una scomodità da gestire mentre i problemi del paese incombevano ben più gravi e importanti.
Matteo Renzi già non è più solo il segretario del Pd. E non perché si stiano realizzando i retroscena che lo volevano frenetico di passare da una campagna elettorale a un’altra. Bensì perché il “capo” del Pd – come ora viene enfaticamente incoronato dalla stampa mainstream – pare quasi ergersi roccia frangiflutti contro ogni tipo di collasso nazionale.
Volevano che si limitasse al paziente lavoro di “ricostruzione del partito”, da bravo segretario di una volta? Macché, Matteo Renzi deve salvare la democrazia.
Diventa leader in un paese scosso da una rivolta popolare e plebea dai risvolti inquietanti, apparentemente ingovernata e ingovernabile. Mai come in queste ore l’Italia non è una Nazione, ma pezzi sparsi di interessi e recriminazioni scagliati gli uni contro gli altri, e tutti insieme contro uno Stato che appare indifendibile e perfino indifeso, dovessimo credere a certe storie sul comportamento delle forze di sicurezza.
Nessun settore del mondo politico e istituzionale sembra in grado di offrire vie d’uscita, o almeno ipotesi praticabili di ricomposizione di quei pezzi. Gli unici che si danno da fare – neanche a dirlo – lo fanno per aizzare, per alzare più alte le fiamme della rabbia.
Così forse finalmente tutti – non solo quelli come noi che in questo senso fin dall’inizio intendevano rottamazione e attacco all’establishment – capiscono che solo una forza rigenerata fin quasi a non potersi confondere con ciò che era prima può caricarsi della missione nazionale di reimporre un metodo politico e democratico.
Finché Renzi diceva lui di sentirsi in dovere di questo tentativo, vabbè: la solita esagerazione. Ora è evidente: il primato della politica passa dal nuovo Pd e dal suo nuovo leader. I quasi tre milioni dell’8 dicembre l’hanno inteso chiaramente. Non hanno solo voluto votare “quello che vince”.
Ora sarà giusto che tutti diano non aiuto, ma spazio a un’operazione di valore così ampio.
Anche il governo, anche il capo dello stato: il loro tentativo andava nella stessa direzione di restituire fiducia, credibilità e forza alla soluzione della crisi italiana, ma gli strumenti disponibili si sono rivelati inadeguati, fragili, superati perché legati a schemi che avvertiamo irrecuperabilmente legati al passato.
Lo sentiremo oggi da Letta in parlamento, lo proveremo in concreto sulla riforma elettorale. Se non il Pd, o la sinistra, ma la democrazia italiana sarà in grado di non bruciare subito la sua estrema possibilità.

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