giovedì 12 dicembre 2013

“Io poliziotto, ora mi rimetto il casco”

PAOLO GRISERI
La Repubblica - 12/12/2013
 
La rabbia di Francesco è nelle grandi mani che gesticolano, prima ancora che nella sua frase definitiva: «Adesso rimettiamo le cose al loro posto. Mi sono stufato. Ancora una volta ’sti politici ci hanno preso in giro».
Idealmente, l’agente Francesco C. si infila in testa quel casco azzurro che si era tolto lunedì all’ora di pranzo, sotto il Palazzo della Regione. Un gesto simbolico, quello di allora. Un gesto simbolico quello di oggi.
Torino, portici di via Po, giorno terzo della protesta dei forconi. Caffetteria Abrate, luogo storico del passeggio cittadino. Francesco ha appena smontato, la via è bloccata, si attende la manifestazione della sera. «Non mi fossi mai tolto quel casco. Ma come potevamo immaginare tutto questo casino? Era sembrato un gesto naturale». Perché naturale? In fondo lei non è un poliziotto? «Certo. Le racconto. Era stata una mattina difficile. In piazza Castello i gruppi della protesta erano arrivati all’improvviso. Soprattutto quelli giovani, incazzati, che spuntavano dietro le facciate dei palazzi. Si erano riforniti di mattoni in un cantiere lì vicino. E tiravano, tiravano senza fermarsi. Un vicequestore, una donna, aveva preso una mattonata sul casco e poi era stata colpita a una mano. Ce l’aveva gonfia come una palla, forse fratturata. L’abbiamo portata all’ambulanza, dietro, in via Garibaldi. I colleghi erano riusciti a cacciare lontano gli incazzati. Abbiamo contato i feriti: 14 di noi in ospedale. E tre volanti distrutte a pietrate». Bella premessa per togliersi i caschi. Francesco alza lo sguardo, gira il cappuccino e sorride: «E invece è proprio così. Perché in piazza restano gli altri». I buoni? «Questo non lo so. Diciamo quelli più pacifici. Noi rimaniamo con i caschi a difendere l’ingresso del Palazzo della Regione. Loro si avvicinano. Sono ragazzi che lavorano al mercato e uomini sulla cinquantina. Padri e figli. Qualcuno sfotte: “Perché state a difendere quelli che guadagnano 10mila euro al mese? Voi non siete come loro, voi siete come noi”. Qualcun altro arriva e sventola la bolletta del gas, urla che la tassa dei rifiuti è aumentata e che non ce la fa più. Un uomo sui cinquant’anni dice a un certo punto: “Perché state con i caschi in testa? Noi non ce l’abbiamo con voi. Toglieteli”». E voi avete accettato? «La situazione era tranquilla da un bel po’. Era normale fare quel gesto. Quando il funzionario ci ha detto di togliere i caschi nessuno ci ha trovato niente di strano. La gente ha cominciato ad applaudire ». Ma lei, Francesco, si sentiva davvero come loro in quel momento? «Io ho 31 anni, abito a Venaria, alla periferia nord di Torino. Mia moglie è in cassa integrazione e io guadagno 1.280 euro al mese. Abbiamo due figli, una bambina di due anni e un maschio di quattro. Paghiamo 520 euro di affitto al mese. Sa qual è la vera differenza tra me e quelli che ci stavano davanti lunedì? Che io ho uno stipendio fisso e loro no. Ma le bollette ci sono per tutti e le tasse pure». Dunque avete solidarizzato? «Solidarizzato no, ma io li capivo». Poi siete tornati in caserma. «Sì e lì abbiamo cominciato a vedere che ‘sta storia dei caschi andava nei video, in tv. Ne parlavamo tra di noi e ci era parsa una cosa normale. Mica puoi stare con il casco tutto il giorno? Ma qualcuno cominciava a dire: “Vedi che i politici ci strumentalizzeranno”. Io non ci credevo, non pensavo fosse possibile. Alla sera sono arrivato a casa e mia moglie era preoccupata. Guardavamo insieme la tv. Lei ha visto la scena dei caschi e ha detto: “Meno male che non ce l’hanno con voi”».
Poi, martedì, è successo l’imprevedibile. Francesco fissa in quella giornata il cambio di atteggiamento, l’inizio dell’arrabbiatura che lo porterà a pentirsi del gesto del giorno precedente: «Mia moglie è rimasta imbottigliata nel traffico. I blocchi stradali le impedivano di portare all’asilo i bambini. È arrivata in ritardo al lavoro. Nei negozi la gente calava le serrande per paura. Qualche amico ha cominciato a chiamarmi al telefono: “Dimmi che cosa devo fare. Non so chi mi trovo davanti se apro il negozio”. Ho capito che la gente era insicura, non rischiava di uscire in strada. Ho avuto paura di aver involontariamente favorito questa situazione. Mi dicevo: “Non è che questa storia dei caschi ha fatto credere a ’sti forconi che protestano che si possono permettere qualsiasi cosa?”». Ma non sono solo gli abusi. È anche e soprattutto la politica: «Sì, la politica, la politica che strumentalizza tutto. Perché se io tolgo il casco per parlare con un padre di famiglia che non arriva alla fine del mese, perché se faccio questo, il giorno dopo ci deve essere un politico che mi dice che dobbiamo fare il colpo di stato?». Il colpo di stato? Chi vi chiede di fare il colpo di Stato? «Che senso ha questa storia della lettera di Grillo? Lui pensa davvero che noi siamo disposti a diventare il braccio di chi vuole rovesciare lo Stato? Che ci vendiamo a quelli che stanno bloccando le città, che minacciano i negozianti, che impediscono ai camion di uscire dai mercati generali, noi dovremmo far finta di non vedere tutto questo solo perché guadagniamo 1.280 euro al mese? Questo ha proprio capito male. Noi abbiamo giurato fedeltà allo Stato e lo difenderemo. Per questo deve essere chiaro che noi non ci facciamo prendere in giro dai politici. E così da oggi, mercoledì, si è visto che la strategia è cambiata. A Torino sono arrivati i rinforzi, i blocchi stradali sono stati contenuti. Alla fine, purtroppo, per le aggressioni dei gruppi violenti e per la strumentalizzazione dei politici, è stato necessario e inevitabile rimettersi in testa quel casco azzurro». Non lo toglierà più? «Forse, non lo so».

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