martedì 10 dicembre 2013

Il moderno Principe

Marco Damilano


A mezzanotte, quando ormai a Firenze la festa va acquietandosi, squilla il cellulare del neo-segretario del Pd Matteo Renzi. Dall’altra parte c’è la batteria, il centralino del Viminale. “Le posso passare Silvio Berlusconi?”. Ecco la voce del Cavaliere, ancora a tavola, in pizzeria con Francesca Pascale, il cane Dudu’, i giovani dei club Forza Silvio che nel pomeriggio avevano riempito l’auditorium di via della Conciliazione. “Caro Matteo, complimenti! Ho sempre detto che avevi i numeri, da quel pranzo ad Arcore, anche se devi ammettere che giocare contro Cuperlo e Civati era come il Milan con l’interregionale…Con la tua vittoria finalmente il Pd diventa un partito socialdemocratico”. Eccolo qui, il Berlusconi, per una volta invidioso della sinistra.
Qualche minuto prima Renzi ha concluso il suo primo discorso da eletto, nel teatro Obihall di Firenze, mentre si aggiorna il contavoti di una vittoria storica. Quello di un anno fa dopo la sconfitta contro Bersani era stato l’intervento della dignità di chi ha perso, ora da vincitore il Bimbaccio insolente e dispettoso diventato in un anno e mezzo finalmente adulto fa parlare la rabbia e il calore. La rabbia del capitano, “mi avete dato la fascia di questa squadra e vi assicuro che combatterò su ogni pallone”, e del politico che da mesi era costretto a trattenersi, in nome della ragione di Stato e delle primarie, e che ora può finalmente sfogare quello che si teneva dentro: “Forse useremo metodi un po’ spicci”, avverte, “ma non confondete un cambio di governo con l’ambizione di cambiare il Paese…Abbiamo preso i voti per scardinare il sistema, non per sostituirlo”. Il calore del sogno, del fidarsi, “un atto di coraggio”, del cuore, “si può essere riformisti e non noiosi, la nostra sfida e’ dare un’anima al riformismo”. Pessime notizie per “i professionisti del l’inciucio, i burocrati, i papaveri, chi pensava di stabilizzare le larghe intese, chi si preparava a brindare al ritorno alla proporzionale: vi è andata male!”
Ancora una volta le primarie hanno funzionato per dare voce a un popolo di non invitati. Il vincitore era designato, ma non con questa affluenza e queste percentuali, né era previsto un crollo simile di Gianni Cuperlo, l’ultimo discendente della stirpe di Botteghe Oscure, arrivato terzo dopo Pippo Civati in alcune regioni del Nord e perfino a Roma citta’. Sorprendente e’ l’entita’ della vittoria per un candidato considerato fino a qualche mese fa un corpo estraneo, la quinta colonna del berlusconismo nel Pd, il portatore chissa’ quanto sano di una cultura fascistoide. E invece ecco milioni di elettori dei gazebo che si mettono in fila per votarlo. Elettori di sinistra, non invasori berlusconiani o grillini. Sarebbero stati di meno, forse, senza la sentenza della Consulta e la decisione di Romano Prodi di andare a votare ha spostato qualcosa, più in termini psicologici che numerici. Alla fine ha vinto anche lui, il Professore, il più sensibile nel captare gli umori del suo popolo, di un elettorato smarrito e discretamente incavolato con i suoi capi, le file delle primarie sono l’opposto dei 101 che lo eliminarono dalla corsa per il Quirinale. E anche, certo, delle larghe intese, per giunta ora in versione ristretta. L’opposto del Palazzo e dei suoi riti, di trattative segrete, minuetti soffocanti, immobilità contrabbandata per stabilità. Ma non della politica, perché, per una volta, non è l’antipolitica a vincere.
Vince Renzi, che non è un comico, anche se sul palco e’ secondo solo a Grillo per resa spettacolare, e non è un imprenditore, anche se Berlusconi stravede per lui, altro che l’esangue Alfano, che delfino sarebbe stato Matteo. Renzi e’ un politico, un professionista della politica entrato nelle istituzioni come presidente della Provincia di Firenze a neppure trent’anni. Un politico che crede nella necessità della politica e nella possibilità della politica di dare risposte. Un politico nato e cresciuto nell’Italia devastata e svenduta di questi ultimi anni, un’Italia sull’orlo del baratro, il mix micidiale crisi economica-collasso del sistema politico, uno Stato in rovina, in ruina, quasi come di cinquecento anni fa.
Era il 1513 quando di questi tempi l’ex segretario della Cancelleria della Repubblica fiorentina Niccolò Machiavelli completava la sua opera immortale, “Il Principe”, il trattato su come si acquista, si governa, si perde la guida dello Stato, come scriveva al legato presso la Curia pontificia Francesco Vettori nella lettera datata 10 dicembre 1513. Ed e’ un caso della Storia che cinquecento anni dopo un fiorentino aspiri a sbarcare a Roma per conquistare oggi la guida del Pd, domani dell’Italia. Uno che non è il Valentino, anche se ha già dimostrato di sapersi fare volpe e leone, astuto e determinato, anche se la corte degli adulatori e’ in crescita vertiginosa. “Il moderno Principe, il mito-principe, non può essere una persona reale, un individuo concreto, può essere solo un organismo…questo organismo e’ già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico, la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a diventare universali e totali”. Così scriveva Antonio Gramsci sul partito moderno Principe, corpo collettivo in cui i singoli dovevano annegare. Un mito che ha giustificato, per molti decenni, la lotta per conquistare il potere nel partito degli eredi del Pci e la convinzione, per i dirigenti formati in quella tradizione, che fosse il partito il centro di ogni lotta, la fonte di legittimazione di ogni Capo. La vittoria di Renzi spazza via quella tradizione e la generazione dei compagni di scuola.
Con Renzi avanza una nuova idea di leadership, selezionata in anni di crisi. Una leadership fortemente personalizzata, un individuo guidato dal carisma e dalla capacità di intuire e intercettare il consenso, il partito e’ laicamente lo strumento per raggiungere lo scopo. Ancora Gramsci, in un’altra pagina, definisce cesarismo progressivo quello del leader che sa incrociare e rappresentare il cambiamento, contrapposto al cesarismo regressivo che usa il potere per bloccare ogni cambiamento della società. Dal catastrofico ventennio berlusconiano si può uscire con un progresso o con una regressione,con un’innovazione o con una restaurazione. E il Pd e’ sempre stato in mezzo al guado tra le due strade. Tra la sinistra con la paura del cinquantuno per cento, quella che un tempo “l’Italia e’ un paese di destra”e ora “il bipolarismo non è piu’ possibile, c’è Grillo”‘, dedita alla ricerca di accordi con pezzi di centro o della destra,ieri Bossi, Cossiga e Casini, poi Fini, oggi Alfano. E la sinistra che scommette su se stessa, che prova confusamente a incarnare una nuova generazione e un nuovo blocco sociale, quello rivelato da tutte le analisi del voto politico 2013, i giovani, i precari, i sottopagati, gli esclusi che in massa hanno voltato le spalle al Pd percepito come il partito dei garantiti e tutelati.
Si può, anzi, si deve diffidare del personaggio Renzi e della sua ambizione, ma non dell’ambizione di cambiamento che le file di ieri hanno espresso, della carica di energia con cui oggi sbarca a Roma. Il primo a doverne tenere conto sarà il premier Enrico Letta, oggi improvvisamente invecchiato ma ancora molto radicato nella Roma dei ministeri, degli apparati dello Stato e delle istituzioni che attendono il nuovo potente con curiosità, apprensione, un senso di estraneità. Primo banco di prova su cui giocarsi tutto, la legge elettorale. Da scrivere subito, con chi ci sta, per evitare che la giornata di ieri sia una parentesi.
L’onda e’ arrivata, alla fine di un anno politicamente straordinario, ma ci mette poco per trasformarsi in palude. Fino a ieri il sindaco di Firenze era un outsider e il Pd un partito senza voce, senza guida, afono e acefalo. Ieri è successo quello che il quotidiano francese “Le Figaro” racconto’ così: “Finalmente il leader ha trovato un partito e il partito ha trovato un leader”. Era il 1971 quando al congresso di Epinay guidare i socialisti francesi depressi da anni di sconfitte fu chiamato Francois Mitterrand, carismatico e manovriero, chiamato in patria le Florentin. Il fiorentino, già. Renzi il fiorentino avrà bisogno di forza, astuzia e molta fortuna per riuscire. Il capitano Renzi gioca in un campo allagato, impraticabile, in cui sono usciti con le gambe rotte autentici campioni, perche’, come scriveva il grande Gianni Brera a proposito di Maradona, “tu puoi essere el dios de la pelota en tierra”, ma se i tanti brocchi che puntano allo zero a zero ti tolgono la palla, sei il dio della pelota in terra senza pelota… È da oggi il tempo si fa breve anche per lui, per Renzi il giovane capitano.

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