sabato 14 dicembre 2013

Dossetti, uomo del futuro

Stefano Ceccanti 

Europa  

Quale attualità del grande uomo politico e di chiesa su alcune questioni costituzionali?
Di fronte a pensatori (che sono anche uomini di azione) che hanno segnato alcune fasi storiche e alcuni temi è semplicistico proporre un bilancio in blocco, nonostante che ci sia spesso proprio l’abitudine a ragionare in blocco.
Dossetti, uomo del futuroOccorre invece operare un puntuale discernimento per capire: a) quali aspetti del pensiero e dell’azione siano portatori di futuro e qui occorre introdurre una sottodistinzione: o perché attuati in quel momento e rimasti validi, quindi strettamente attuali, o perché allora non accettati e rivelatisi presbiti, da riprendere in seguito; b) quali invece siano storicamente condizionati e quindi non riproponibili.
Rispetto alle questioni costituzionali, le uniche su cui mi sento di tentare un simile discernimento, propongo pertanto il seguente schema di valutazione: 1, Dossetti è strettamente attuale nel celebre ordine del giorno anti-totalitario, praticamente recepito anche se formalmente non votato (che reagiva all’impostazione iniziale, ideologizzata, delle sinistre di fondare la Costituzione solo sull’antifascismo e la lotta di liberazione), ordine del giorno che finalizzava lo stato alla crescita della persona umana che lo precede.
E’ poi attuale e nel suo principale punto di caduta, il catalogo dei diritti e dei doveri della Prima Parte della Costituzione; può essere considerato strettamente attuale perché, come ricorda Augusto Barbera, la clausola generale contenuta nell’articolo 2 insieme al principio personalistico è aperta, non è chiusa, consente un aggiornamento sulla base dei cambiamenti della coscienza collettiva, che poi concretamente passa soprattutto attraverso la giurisprudenza costituzionale. Consente al diritto di essere dentro un movimento della dinamica sociale, parzialmente autonomo dalla politica;
2, Dossetti è presbite nella consapevolezza che sarebbe stato necessario un legame stringente tra i princìpi esigenti della Prima Parte e una forma di governo più decidente nella Seconda, con maggiori incentivi per la stabilità e l’efficienza dei governi e con minori poteri di veto quali quelli derivanti dal bicameralismo ripetitivo.
Qui sono decisive le pagine da 62 a 65 dell’intervista rilasciata ad Elia e Scoppola insieme a Giuseppe Lazzati nel 1984 e pubblicata postuma nel 2003, un quadro poi riconfermato dal lavoro ampio e recente di Galavotti per Il Mulino. Senza conoscere bene il quale, come ha notato in seguito sempre Pietro Scoppola (intervento in La Carta di tutti. Cattolicesimo italiano e riforme costituzionali 1948-2006, Ave, 2006, in particolare p. 24) si fraintende radicalmente quanto poi sostenuto dal 1994, ossia la contrarietà non al riformismo costituzionale in sé ma a singole proposte non meditate ed estreme, quali quella parasecessionista di Miglio della suddivisione dell’Italia in tre cantoni confederati. Non sempre chi si richiama al dossettismo in materia costituzionale sembra consapevole di ciò.
3, Dossetti non è attuale, come sostiene giustamente Pombeni nel suo volume di quest’anno per Il Mulino (Giuseppe Dossetti. L’avventura politica di un riformatore cristiano, p. 157) rispetto a un pregiudizio anti-liberale, pregiudizio che ha due facce.
La prima è quella già sottolineata da Scoppola a commento della richiamata intervista (p. 131) e si riferisce ai rapporti tra stato e società civile, dove l’esigenza di utilizzare le istituzioni statali come unica leva realistica per il cambiamento sociale negli anni dell’immediato dopoguerra diventa uno schema teorico per cui lo stato sembra diventare il monopolista nel determinare il bene comune, anziché solo una delle realtà che contribuiscono a determinarlo e tutt’altro che sovraordinata.
Qui sta anche la radice di una certa freddezza nei confronti del testo della dichiarazione conciliare Dignitatis Humanae, che è costruito a partire dall’impostazione del padre Murray sui limiti dello stato nel determinare il bene comune.
Dove la distinzione tra bene comune, compito dell’intero sistema sociale, e ordine pubblico, compito dello stato, in cui non possono non rientrare dopo la seconda guerra mondiale anche le funzioni essenziali dello stato sociale interventista, debitamente rinnovate, nel senso più della regolazione che non della gestione diretta.
La seconda è quella delle posizioni relative ai limiti delle libertà individuali e al peso eccessivo di visioni tradizionalistiche della natura umana che portarono i dossettiani alla Costituente, a differenza dei degasperiani, a difendere convintamente e intransigentemente, rifiutando anche varie possibili mediazioni, fino a soccombere a voto segreto, la costituzionalizzazione dell’indissolubilità del matrimonio civile (cfr. G. Sale, Il Vaticano e la Costituzione, Jaca Book, 2008, in particolare pp. 23-24, 104-114 e p. 227).
Ovviamente quando operiamo questi tentativi di discernimento sappiamo sempre, come nella nota metafora, di essere nani sulle spalle dei giganti. Noi restiamo nani e le grandi personalità restano dei giganti, a prescindere da alcuni aspetti storicamente condizionati che forse loro stessi, se avessero la possibilità di rivedere a posteriori, contesterebbero per primi.

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