venerdì 6 dicembre 2013

La carica dei Prodi

di Marco Damilano


 
 
Sabato mattina a Roma, tira vento su Ponte Sisto, uno dei più belli della Capitale, quello che collega il quartiere Campo de Fiori al rione Trastevere. Emanuele con un gruppo di ragazzi, tutti volontari del comitato Renzi, sta volantinando per il suo candidato alle primarie quando passa un gruppo di persone. Uno di loro si volta, guarda il giovane che gli porge il volantino con uno sguardo tra l’ironico e l’amaro, gli stringe la mano, riprende a camminare. È il fondatore dell’Ulivo e del Partito democratico, il Professor Romano Prodi.
Aveva deciso di non andare a votare alle primarie, ma oggi annuncia di aver cambiato idea. «Domenica, di ritorno dall’estero, mi recherò a votare alle primarie del Pd. In questa così drammatica situazione mi farebbe effetto non mettermi in coda con tanti altri cittadini desiderosi di cambiamento. I rischi aperti dalla recente sentenza della Corte mi obbligano a ripensare a decisioni prese in precedenza. Le primarie del Pd assumono oggi un valore nuovo. Nella situazione che si è venuta a determinare è infatti necessario difendere a ogni costo il bipolarismo. Pur con tutti i suoi limiti, il Pd resta l’unico strumento della democrazia partecipata di cui tanto abbiamo bisogno».
Nessuno dei tre candidati alla segreteria, nonostante l’impegno e i fiumi di parole spesi in interviste e uscite televisive, e meno che mai la grigia burocrazia di largo del Nazareno, era riuscito finora a rendere in tre righe il senso delle primarie dell’8 dicembre e la loro urgente necessità, non solo per quella parte di Italia che vota Pd e centro-sinistra e che tutte le ricerche confinano in una zona ben delimitata, geograficamente e anagraficamente.
Nel comunicato di Prodi colpiscono tre parole. La prima è bipolarismo: in Italia non è solo un sistema elettorale, è il contrario di trasformismo, inciucio, larga intesa, è la difesa del potere di scelta dei cittadini, il rifiuto della delega ai sancta sanctorum dei notabili di ogni livello. La seconda è cambiamento: quello richiesto a gran voce, magari in modo rozzo e sgradevole, da milioni di elettori alle ultime elezioni, che in cambio hanno invece ricevuto continuità e immobilismo mascherati da stabilità. Dei tre candidati alla segreteria, due, Matteo Renzi e Pippo Civati, incarnano sicuramente la domanda di cambiamento, ognuno poi può giudicare con quanta forza, determinazione e credibilità. Il terzo, Gianni Cuperlo, è il volto nobile della conservazione.
La terza parola prodiana, la più importante, è dramma: «in questa drammatica situazione», dice l’ex presidente del Consiglio, non si può restare a casa. Quanto sia drammatica la situazione lo segnala il rapporto Censis uscito oggi, con toni senza appello: «sconforto collettivo», «ampliamento delle disuaguaglianze sociali», «avvitamento della politica». E una «classe dirigente italiana» che, si legge, «tende a ricercare la sua legittimazione nell’impegno a dare stabilità al sistema, magari partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre che hanno la sola motivazione e il solo effetto di far restare essa stessa la sola titolare della gestione della crisi». Parole scritte prima della sentenza della Consulta, eppure fotografano alla perfezionecosa è successo due giorni fa. Il Porcellum poteva essere stracciato dagli elettori un anno e mezzo fa, con un referendum, invece la Corte rigettò i quesiti firmati da un milione e 200mila cittadini, sostenendo che c’era il rischio di lasciare il Paese senza una legge elettorale, la sentenza di due giorni fa dichiara esattamente l’opposto: l’unico filo comune sembra essere il desiderio di lasciar fuori dalle decisioni l’elettorato, la società. Meglio che restino affidate ai competenti, ai professionisti, a chi sa dove mettere le mani.
C’è un piccolo problema in questo ragionamento. Che i professionisti si sono rivelati pasticcioni o inconcludenti e ci hanno portato a un passo dal baratro. Per evitarlo non basta certo andare in un gazebo a votare per un segretario del Pd. No, non può bastare. Ma il ripensamento di Prodi, ancora una volta più in sintonia di tanti con gli umori del Paese, vale come un messaggio per tutti, non solo per chi vota Pd. Come in un film western lo sceriffo che aveva lasciato disgustato torna indietro perché c’è ancora bisogno di lui. Oppure, se preferite un altro genere di film, è quasi una carica dei 101. Ma alla rovescia.

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