sabato 7 dicembre 2013

Consigli non richiesti al segretario che verrà

Pierluigi Castagnetti 
 
Europa 06 dicembre 


I passaggi che attendono alla prova il Partito democratico, la maggioranza parlamentare e il governo sono complessi e per molti aspetti inediti. La totale inesperienza è un rischio
Sappiamo già che se domenica vincerà Matteo Renzi lunedì 9 dicembre alle 12 verrà annunciata la nuova segreteria, non discussa e trattata con alcuno. Bene. Mi pare giusto non perdere tempo perché le liturgie congressuali sono già state anche troppo lunghe. Né contrattare col bilancino la distribuzione dei posti; del resto la segreteria è organo fiduciario del segretario ed è (più o meno) sempre avvenuto così.
E però. Chiunque sia il nuovo segretario c’è bisogno di medicare le ferite che (fisiologicamente) la campagna congressuale ha determinato. Non si tratterà tanto, come ha detto D’Alema, di convincere la parte del partito che risulterà soccombente, ma di coinvolgerla in qualche modo sin da subito.
La regola secondo cui chi vince guida e gli altri si allineano è troppo semplice e troppo astratta. Le esperienze umane sono fatte, si sa, di uomini e non di automi e, dunque, occorre perseguire con determinazione, elastica e intelligente, la necessaria compattezza operativa. Se è vero, infatti, che la segreteria è organo fiduciario, occorre pensare allora al contemporaneo allestimento di un organo ristretto del partito in cui tutti siano e si sentano rappresentati.
La direzione così come è stata realizzata durante le precedenti segreterie è organo troppo pletorico e non consente un effettivo confronto e coinvolgimento: o la si restringe o si deve prevedere un altro luogo in cui la segreteria possa raccogliere ciò che serve, quanto a consigli e idee, dal meglio dell’intelligenza e dell’esperienza del partito.
È giusto che il segretario voglia cambiare il ceto dirigente e segnare, dunque, una discontinuità forte con il passato. Senza dimenticare però che i passaggi che attendono alla prova il partito, la maggioranza parlamentare e il governo, sono veramente molto complessi e per molti aspetti inediti, e non mi sembra il caso di aggiungere ai tanti rischi che ogni cambiamento comporta anche quello della totale inesperienza.
Siamo soliti dire che il Pd praticamente è l’unico pilastro oggi esistente nell’intero sistema politico, ed è vero, ma lo è anche per il lavoro – pur con tanti errori – fatto da chi c’era prima e dalla loro capacità di essere – pur con tanti limiti – punto di riferimento di realtà esterne che non vanno dissipate. La storia non fa salti, è vero che la si costruisce nel presente, essendo il presente il luogo di lavoro che ci è dato, ma il presente non è un tempo sospeso, smemorato e separato dal passato e dal futuro.
Nella vita degli animali leggiamo cosa capita alle termiti e ci si chiede come fanno queste bestioline a realizzare il progetto della costruzione della loro tana visto che richiede il lavoro di più generazioni: come fanno le generazioni che arrivano dopo a conoscere il progetto di chi le ha precedute? La risposta sta nella “stigmergia”, che è quella particolare energia che scaturisce dallo stigma (dall’impronta) lasciato nella parte di lavoro già realizzato, sì che in quello stigma c’è l’indicazione di come continuarlo.
Conosco l’obiezione: «ma noi non vogliamo continuare il lavoro precedente, gli vogliamo cambiare verso». Ma per cambiare il verso della storia (ammesso che abbia consistenza una simile aspirazione), bisogna conoscerla bene e conoscere quali ragioni hanno condotto o costretto certe scelte piuttosto che altre, che oggi legittimamente si vogliono cambiare.
La politica è un mestiere complicato e difficilissimo, guai a smarrire la consapevolezza della complessità: Scoppola, quando inventò insieme ad Ardigò e a Gorrieri la Lega democratica, parlava addirittura della necessità di una “teologia della complessità”.
Tutto questo per dire che un conto è voler cambiare le cose e i dirigenti, un altro conto è pensare di potersi permettere il lusso di mandare al macero le esperienze e le conoscenze di chi esperienze e conoscenze ha già acquisito. C’è modo di ascoltarle, farne tesoro, senza rinunciare all’aspirazione rivoluzionaria che pure oggi appare sensata. Della serie: consigli non richiesti.
Buon lavoro a chi vincerà (e anche a chi non vincerà).

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