mercoledì 11 dicembre 2013

“No all’auto blu, uso treno e motorino”

La Repubblica - 11/12/2013
GOFFREDO DE MARCHIS

Una cartella marrone scuro, la testa incassata nelle spalle per mimetizzarsi, il bavero del piumino blu alzato. Solo. Senza accompagnatori, senza scorta, senza fedelissimi al seguito. Frecciarossa 9541, arrivo al binario 4 della stazione Termini, ore 18 e 50. Il treno prosegue per Salerno. Matteo Renzi scende e accelera il passo. Come fanno quelli che vanno di corsa, sceglie il lato della banchina lontana dai vagoni. C’è meno traffico, meno valige. L’iPhone incollato all’orecchio. Chi lo incrocia lo chiama “Matteo”. Lui sorride e procede. Nell’atrio lo attende Filippo Sensi, vicedirettore di
Europa, blogger famoso con il nickname di Nomfup, punto di riferimento per tutti gli spin doctordell’area Pd.
SI AVVIANO insieme verso la coda dei taxi. È la prima volta che viene a Roma in treno, da neo segretario. Lunedì era sceso in macchina, per evitare l’assalto delle telecamere. Da oggi comincia il pendolarismo tra Firenze e Roma sui binari. Un’ora e venti per far convivere gli abiti da sindaco e segretario. E per scappare velocemente dalla città dei Palazzi che tutto inghiotte. «Userò il treno come una metro».
L’idea è parcheggiare un motorino fuori dalla stazione di Roma. Arrivare, saltare a bordo e percorrere su due ruote il chilometro fino alla sede del Pd, a Largo del Nazareno. «Voglio fare così. Guidare qui è come guidare a Pontassieve, no?». Beh insomma, non è la stessa cosa. Imparerà. Roma è un assillo, i suoi vizi un’angoscia. Renzi ci pensa sempre. Come muoversi, come evitare i vecchi riti. Come portare uno stil novo nella capitale. Lui che sale sull’auto blu è una foto da scampare come la peste. Lui che entra nell’ingresso della sede sotto una selva di telecamere e microfoni, pure. «Ho in testa le immagini di Bersani che s’infila con il codazzo a Via Sant’Andrea delle Fratte. Un orrore. Una liturgia antica. Non la sopporto». Si è accertato che ci sia un ingresso secondario. «C’è, per fortuna. La sede non si cambia, rimane quella. Io non tocco niente».
Ma il suo posto è altrove. Con la fascia da sindaco, nelle scuole, sui cantieri, nelle fabbriche. In mezzo alla gente. Racconta la sua mattinata: «Sono stato in una scuola elementare. Hanno parlato i bambini. Mi hanno chiesto un’altalena ma le maestre dicono no perché hanno paura. Mi hanno chiesto di sistemare l’area giochi. Alla fine si alza un bimbetto e fa: “O sindaco, quand’è che rientra Mario Gomez?”. Boato. Sono impazzito ». Gomez è il centravanti della Fiorentina, infortunato. In treno, carrozza 3, poltrona 14 D, prima classe, arriva la telefonata di Pep Guardiola, l’allenatore del Barcellona dei mille trofei. Oggi lavora a Monaco. Sono gli auguri più graditi. I due chiacchierano per un po’. «Mi ha detto che il Bayern gioca male, che non gli piace, anzi che è incazzato nero. Poi mi ha chiesto di fare i complimenti a Montella, la Fiorentina gioca un bel calcio».
A Firenze Renzi si muove in tutt’altro modo. Ha studiato alcune tecniche di depistaggio. Spunta a Santa Maria Novella. Il bavero alto, la testa nelle spalle, il solito camuffamento. Da solo, anche lì. Scivola nell’atrio come un’ombra. Punta una banchina ma non è quella giusta. Allora attraversa i binari. Ma si può fare? A Firenze sì, dietro la barriera di frenata ci sono dei gradini e un passaggio pedonale. Ecco il treno. Per nascondersi Renzi costeggia le carrozze ferme. Saluta il capotreno, sale e tira un sospiro di sollievo: «C’era il fotografo dell’Ansa. L’ho fregato».
A bordo però è pieno di fotografi. Sono i passeggeri. Nessuno lo chiama sindaco. O segretario. O Renzi. “Matteo”. Come un fratello, un figlio, un fidanzato. Coi telefonini chiedono un autoscatto. Donne, ragazzi, signori. Renzi si ferma. «Sei uno di noi». «Ti abbiamo votato». «Sei la nostra speranza ». Risposta più usata: «Ci proviamo ». Chiede una foto il segretario di Sel di San Marzano. È una processione.
Finalmente, il sindaco si siede. Toglie il piumino. Sotto ha la solita camicia bianca, alla Tony Blair. Un’altra pulita spunta dalla cartella. Una signora bionda di Salerno, elegante lo avvicina per salutarlo, preceduta da tutta la carrozza. “Matteo”. “Matteo”. È un mantra. La signora confida a bassa voce un problema personale, di salute. Piange. Renzi non trova le parole. Per una volta. Prende il numero di telefono. Arriva il marito: «Come va con De Luca?», chiede il segretario.
Roma si avvicina. La città delle tentazioni. Ha corrotto anche la Lega. Il sindaco spiega il motivo della riunione della segreteria alle 7,30, l’alba per la politica. «Ho pure un’agenda piena. Quindi poco tempo. Ma voglio dare un segnale. Mi hanno raccontato che i deputati ciondolano fino alle 3 del pomeriggio. Ecco, adesso si lavora anche di mattina». Un quarto d’ora e siamo a Termini. Ma Firenze è la coperta di Linus, presente persino nella scelta dell’hotel. «Vado al Bernini Bristol, a Piazza Barberini, perché è di un fiorentino». Bernabò Rocca, senatore di Forza Italia. Non prenderà casa «anche se sarebbe più comodo per avere un cambio, un vestito pulito». Ci sta pensando, ma in cuor suo ha già scelto l’albergo. Così non si spezza il filo con Firenze, così la casa rimane una, quella della famiglia. Di Agnese e dei tre bambini.
In treno Renzi scrive a penna, legge sul Mac Air e manda sms in continuazione. Mostra la schermata home dell’Iphone: 626 (seicentoventisei) messaggi non letti. Siamo arrivati. Non c’è la scorta, non ci sono autisti ad attenderlo. «Non mi avranno», scherza. Intende la Roma dei salotti e quella dei Palazzi. Non andrà mai nei ristoranti del potere. Semmai va da Eataly, alla stazione Ostiense, del suo fan Oscar Farinetti. E per rilassarsi, lontano da tutto, qualche volta va a trovare l’amico regista Fausto Brizzi, nel suo loft di San Lorenzo. Vuole salvarsi dalle sirene del potere. Ma soprattutto, nel Paese della rabbia e della sfiducia, vuole vincere.

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