lunedì 16 dicembre 2013

“Il rinnovamento del Pd è giusto ma Matteo rispetti la nostra storia”

Veltroni: subito la legge elettorale su base maggioritaria

ALESSANDRA LONGO

ROMA — «Stiamo vivendo uno dei momenti più drammatici della storia italiana del dopoguerra, paragonabile forse solo ai 55 giorni di Moro». Walter Veltroni, guarda con preoccupazione agli effetti devastanti delle due crisi, quella sociale e quella della politica.
L’Italia sta andando alla deriva?
«Oggi la disperazione sociale ha interrotto la fiducia che questo Paese ha sempre avuto nella crescita considerata automaticamente portatrice di miglioramento sociale. Assistiamo alla caduta verticale della credibilità della politica e delle istituzioni. Tutto questo mentre in Europa si vanno affermando forze antieuropee, antidemocratiche. La paura genera sempre spinte a destra. Penso a Weimar perché recessione e crisi istituzionale sono sempre state una miscela pericolosa. E se durante il caso Moro si poteva pensare di vincere solo difendendo le istituzioni, oggi è vero il contrario: il rischio Weimar si evita non perpetrando l’esistente ma con una gigantesca innovazione, con una rivoluzione democratica».
Adesso c’è Renzi, è in grado di fermare la corsa verso il burrone?
«La sua elezione è un fatto positivo. Occorre essere consapevoli che non c’è più tempo. L’Italia è stata paralizzata, nella sua storia, dalla demagogia populista e dal conservatorismo. Il ritardismo, il rinviismo, malattie croniche della politica, rischiano di portarci al precipizio. Renzi, non da solo, può tentare, innovando, di sconfiggere la storica attrazione verso le risposte populiste e demagogiche, quella che ha distrutto il paese da Mussolini ai giorni nostri».
Che Pd sarà il Pd di Matteo Renzi?
«Spero che si ritorni alle ragioni per le quali il Pd è nato e cioè per dare finalmente una maggioranza riformista a questo Paese, una maggioranza che l’Italia non ha mai avuto. Mi auguro diventi una forza aperta, inclusiva, espressione di una sinistra nuova capace di radicalità e di riformismo. Una forza capace di compiere il bipolarismo italiano e portarci fuori dal passato. Per questo facemmo nascere il Pd. La nostalgia è un sentimento legittimo ma non in politica ».
Ma perché Renzi dovrebbe riuscire a conquistare al riformismo gli italiani? Lei non c’è riuscito.
«Io dovevo far nascere un partito in un situazione di consenso compromessa dalle divisioni che lacerarono il governo Prodi. Il Pd era al 22%, lo portammo al 34. Allora Berlusconi era fortissimo, oggi c’è una crisi della destra. Bisogna conquistare uno per uno gli italiani, convincerli che il Pd è l’unica soluzione politicamente razionale alle domande del Paese. A chi altrimenti si vogliono affidare? A Grillo, a Berlusconi, ai forconi?»
Nella nuova segreteria ci sono esponenti di radice veltroniana. Le farà piacere.
«Sono tornate le idee - e spero che torneranno anche le persone che hanno creduto sempre in quel Pd di cui parlavo. Condivido anche lo spirito unitario che sta dietro la scelta di Gianni Cuperlo alla presidenza ».
Però buona notte vecchio establishment.
«Giusto e fisiologico. Una nuova generazione deve affermarsi e assumere piena responsabilità. Io mi sono fatto molto più che da parte. L’unica cosa che credo sia giusto fare è però rispettare storie e persone che hanno cercato in questi anni di far vivere una sinistra nuova, che hanno vinto e perso, come a tutti succede, che hanno portato per la prima volta la sinistra al governo. D’Alema ed io abbiamo avuto e abbiamo posizioni molto diverse. Le avevamo e le abbiamo. Nessuno può dire, onestamente, che qualcuno di noi abbia giocato trasformisticamente per salire sul carro dei vincitori. Io semmai vedo, con piacere, che il carro delle idee che lanciammo al Lingotto si è fatto oggi affollato come allora. Lo vedo da lontano, ma con passione ».
Intanto è partita la sfida Renzi-Letta. L’accelerazione sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti è stata interpretata anche come ansia da competizione.
«Non posso pensare che un provvedimento così rilevante nasca sulla base di una concorrenza ad horas su chi dice prima una cosa! Mi auguro invece il contrario, che la maggiore determinazione del governo sia il prodotto di una nuova intesa tra il presidente del consiglio e il segretario del Pd. Analoga accelerazione deve essere impressa alla questione sociale drammatica che vive il Paese e in particolare i giovani. Dobbiamo pensare ad una terapia choc per fronteggiare la recessione, dobbiamo lavorare ad una nuova alleanza tra i piccoli imprenditori che rischiano e producono lavoro e i loro dipendenti, gli operai. Sono legati da una comunità di destino e le vorrei dire che sarebbe bello se quest’anno, il primo maggio, convocassero unitariamente, in ragione della crisi sociale, le manifestazioni e sui palchi parlassero insieme. Il nemico è la rendita parassitaria non chi lavora sfidando le tasse, la burocrazia, spesso la criminalità Sarebbe il segnale plastico di una nuova coscienza».
Veniamo alla legge elettorale.
«Bisogna farla subito su base maggioritaria, doppio turno di collegio o di coalizione. Andare a votare ora, con il sistema proporzionale in vigore, sarebbe una follia foriera di un’involuzione irrecuperabile. Il Paese va messo al riparo dal rischio di una crisi di capacità di decisione della democrazia che generi la richiesta di “un modello russo”. Contestualmente vanno avviate le riforme istituzionali a cominciare dall’abolizione del Senato ».
Legge elettorale subito chi ci sta ci sta?
«Si deve partire dalla maggioranza di governo. A condizione, però, che la maggioranza di governo sia per una soluzione bipolare e maggioritaria. Poi è chiaro che ci si rivolge a tutte le forze parlamentari, più convergenza c’è meglio è. Ma il tempo è poco, non va ignorata la profondità del dolore sociale del Paese. Io sono tra quelli che non ha creduto che la sparatoria davanti a Palazzo Chigi sia stata un fatto isolato. Nei momenti di transizione, qualcuno, in Italia, ci mette sempre le mani. E’ successo così alla fine degli Anni ’60, per il rapimento Moro e nel ’92 - ‘93. Penso al carabiniere Giuseppe Giangrande che ha rivendicato di aver difeso, col suo corpo, le nostre istituzioni. La sua testimonianza non va dimenticata, ci deve guidare».

La Repubblica - 14/12/2013


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