Corriere della Sera 20/05/15
Monica Guerzoni
«Noi possiamo decidere che la legge
Berlinguer va abrogata e che non ci rappresenta più, oppure
rispettarla. Noi rispettiamo una legge che è stata frutto del lavoro
di un governo di centrosinistra...». Le parole di Anna Ascani, la ex
lettiana di 28 anni che ha prestato il suo volto (e la sua grinta)
alla riforma della scuola targata Renzi, fotografano un Pd diviso
sulla sua stessa storia.
A infuocare l’aula della Camera, ieri
mattina, è stato lo scontro sullo school bonus , che prevede un
credito d’imposta al 65% per le donazioni liberali in favore di
tutti gli istituti: pubblici e paritari. Una norma contestata con
forza da Sel, dai Cinque stelle e da quella sinistra che i renziani
ritengono «già fuori dal Pd». Per Stefano Fassina il «bonus»
esteso alle paritarie, senza alcun limite all’ammontare degli
investimenti privati, sottrae risorse alla scuola pubblica e quindi
«non funziona e arreca un danno, un aggravamento delle disparità
tra scuole».
Segue dibattito (dai toni piuttosto accesi) su chi
abbia inserito le paritarie nel sistema nazionale di istruzione.
Parlano in tanti, ma tacciono ex ministri come Bersani che furono
protagonisti di quella stagione. «La vera truffa il Pd l’ha fatta
con il governo D’Alema — accusa Luigi Gallo del M5S —. È il
centrosinistra che ha introdotto i fondi alle private, altro che
centrodestra!». La Ascani, con sottile perfidia, ricorda che la
riforma Berlinguer fu approvata nel 2000 quando a Palazzo Chigi c’era
D’Alema: «Mi dispiace dirlo, ma quella legge fu il frutto del
lavoro di una coalizione all’interno della quale erano
rappresentanti di Rifondazione, di cui in parte è erede Sel, che
oggi ci sta raccontando un’altra storia...».
La lettura dei
renziani è che la minoranza che dialoga con Sel stia conducendo una
«battaglia di retroguardia che ci riporta tre lustri indietro», con
l’intento di farsi buttare fuori. «Vogliono farsi cacciare,
altrimenti Fassina non avrebbe chiesto le dimissioni della Giannini»,
insinua un deputato molto vicino a Renzi. L’ex viceministro non ha
deciso, anche se ormai la via di uscita sembra tracciata. Se non
cambiano i pilastri della riforma, chiamata diretta dei presidi e
assunzione dei precari, Fassina lascerà il Pd.
I rapporti
restano tesi anche con la minoranza guidata da Speranza, che si è
sganciata sulle detrazioni alle paritarie di ogni ordine e grado. Nel
governo raccontano che l’opposizione interna avesse siglato un
patto: in cambio dello stralcio del 5%, chiesto a gran voce dalla
sinistra, la minoranza si impegnava a ritirare la modifica con cui
Andrea Giorgis chiedeva di lasciare fuori i licei dalle detrazioni.
Invece l’emendamento all’articolo 19 è stato messo ai voti ed è
stato sì bocciato, ma col voto favorevole di 37 deputati della
minoranza.
«Hanno tradito gli accordi», lamentano i renziani. E
fanno notare che nell’elenco dei «ribelli» c’è anche Bersani.
Lo strappo ha fatto infuriare il Pd, che ha riunito gli addetti ai
lavori fuori dall’aula con Rosato, Faraone, Coscia e altri. «Sono
inaffidabili», è stata la parola più gentile pronunciata a porte
chiuse. Eppure i vertici del Pd, che hanno tutto l’interesse a
placare gli animi prima del voto finale, hanno «venduto» lo
stralcio del 5 per mille come una mediazione con la minoranza.
D’altronde le perplessità su quella norma, che potrebbe anche non
tornare nella prossima legge di stabilità, sono largamente
condivise. Intanto perché una parte degli sgravi sarebbe stata
finanziata con il fondo della buona scuola e non con risorse
aggiuntive, messaggio poco felice da lanciare in campagna elettorale.
Poi perché il timore della sinistra, di creare scuole di serie A di
serie B, è sentito anche in maggioranza. E infine perché, come ha
ammesso la Ascani, il governo non è riuscito a trovare «una
soluzione condivisa in grado di tutelare il mondo del Terzo settore,
che aveva espresso legittime preoccupazioni».
Poche ore e la
Camera licenzierà la «buona scuola». Col voto favorevole (o
l’astensione) della minoranza pd, quasi al completo. «Come
voteremo? Decideremo alla fine — si avvia verso il sì Giorgis —.
Cambiamenti importanti ci sono stati».
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