Corriere della Sera 23/05/15
Andrea Riccardi
Quello di oggi è un grande momento per
il piccolo El Salvador: la beatificazione di mons. Romero,
arcivescovo della capitale, assassinato nel 1980. Varie delegazioni e
capi di Stato latino-americani, i vescovi centroamericani e di altri
Paesi, circa 300.000 persone sono accorse nella plaza de las
Americas, dove troneggia la grande statua del Salvador del Mundo. Il
Paese è in festa, liberato da una storia dolorosa. È anche un
momento grande per il cattolicesimo latino-americano che aspettava da
anni questo passo verso chi già chiamava «San Romero de América».
Il primo Papa latino-americano ha deciso di beatificare il
vescovo-martire, sciogliendo un nodo profondo tra il cattolicesimo
del continente e Roma. La beatificazione è un momento di forte
identificazione dei cattolici latino-americani con il «loro» Papa.
Romero è per loro un simbolo: parla di un cattolicesimo
latino-americano vicino ai poveri e allo spirito del Vaticano II,
passato per il travaglio dell’instabilità politica (comune a molti
Paesi del continente). Eppure Romero, nonostante sia morto da martire
nell’ormai lontano 1980, non è stato beatificato né da Giovanni
Paolo II, né da Benedetto XVI.
Dov’era il blocco? Per alcuni
importanti settori ecclesiastici era un’icona della teologia della
liberazione o della lotta politica, mentre la sua figura veniva
ampiamente manipolata. In vita, Romero ebbe un rapporto difficile con
Wojtyla. Al Papa polacco sembrava che il vescovo sottovalutasse il
marxismo della guerriglia in lotta contro il governo e non si
spendesse per l’unità dei vescovi salvadoregni (tutti focosamente
ostili a Romero eccetto uno). Eppure, dopo l’assassinio, Wojtyla
s’inchinò sul sangue versato. Nel 1983, in visita al Paese,
nonostante l’opposizione di vescovi e governo, pretese di andare
sulla tomba di Romero. Stese le mani sopra di essa e disse: «Romero
è nostro». Papa Ratzinger conosceva le radicate ostilità a Romero.
Il colombiano, card. Lopez Trujillo, combattente contro la teologia
della liberazione, si opponeva con tutte le forze: beatificare Romero
era per lui beatificare la teologia della liberazione. Non era facile
per Benedetto XVI divincolarsi da queste opposizioni, nonostante
avesse espresso apprezzamento per il libro dello storico Roberto
Morozzo, che ricostruiva la biografia del vescovo, come uomo di pace,
pastore e amico dei poveri, vittima di una situazione impossibile.
Francesco è libero dai fantasmi della lotta attorno alla teologia
della liberazione. Aveva confidato a un ex collaboratore di Romero in
visita a Buenos Aires: «se fossi papa, Romero sarebbe santo».
Capisce perfettamente chi è Romero per l’America latina e sa
quanto sia stato difficile vivere in mezzo alle polarizzazioni
ideologiche e politiche degli anni Settanta in America Latina. Chi fu
Romero? Lo disse bene, mons. Rivera, suo successore e unico vescovo
salvadoregno ad appoggiarlo: «Non sono d’accordo con coloro che
presentano Romero come un uomo in talare passato alla rivoluzione,
anche se faccio mia l’affermazione che egli incarnò pienamente, in
quella realtà ingiusta di El Salvador... l’opzione preferenziale
per il povero, che la Chiesa del Concilio ci chiede». La storia ha
ormai ricostruito il suo profilo: lontano da ideologia e violenza,
non soggiacque al blocco Chiesa-destra.
Troppo spesso si è
dimenticato che Romero cadde martire, crivellato da proiettili a
frammentazione mentre celebrava la messa, il 24 marzo 1980.
Nell’ultimo passaggio a Roma, aveva confidato che tornare in
Salvador per lui voleva dire morte. In realtà, dal 1977, quando era
divenuto arcivescovo di San Salvador, la tensione era cresciuta. Un
anno dopo non partecipò all’insediamento del presidente della
Repubblica (responsabile di gravi violenze). Era stato vicino ai
poveri e aperto al dialogo con tutti. Ogni domenica, denunciava
violenza e repressione in un Paese per lui «esplosivo». L’ultima
domenica, prima della morte, disse ai soldati: «Fratelli,
appartenete al nostro stesso popolo, uccidete i vostri fratelli
contadini e davanti a un ordine di uccidere che viene da un uomo deve
prevalere la legge di Dio che dice: Non uccidere…». Concluse:
«Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che sia contro
la legge di Dio…». Fu giudicato un invito all’insubordinazione
dai settori oligarchici, che usavano gli squadroni della morte:
Romero doveva morire fu presto. Tuttavia, dopo la morte, negli anni
della guerra civile (con 70.000 morti), Romero è divenuto un simbolo
per tanti. Ha mostrato la forza rocciosa della Chiesa
latino-americana del Vaticano II. Papa Francesco ha voluto
riconoscere un martire e, con lui, una storia di tanti che è anche
la sua.
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