David Sassoli
HuffingtonPost 13 maggio 2015
In un mese molto è cambiato in Europa.
Solo poche settimane fa, alcune considerazioni non sarebbero state
date per scontate, né accettate come base di discussione comune. Le
tragedie che si sono verificate nel Mediterraneo, l'instabilità
presente in alcune aree, la feroce attività degli scafisti, il
richiamo a difendere i diritti umani e la minaccia che flussi
migratori incontrollati espongano ad alti rischi i Paesi di frontiera
hanno consentito alle istituzioni europee, per la prima volta, di
dotarsi di una base comune di riflessione e iniziativa.
Non era scontato. Ma il Consiglio
straordinario di aprile e la risoluzione votata a larga
maggiorana dal Parlamento europeo hanno consentito al presidente
Juncker e all'Alto rappresentate Mogherini di adottare una linea di
forte discontinuità rispetto all'inerzia degli ultimi anni. Quello
che fino a poco fa sembrava impossibile da raggiungere si è messo in
moto nel giro di poche settimane. Oggi è possibile dire che l'Europa
parla la stessa lingua. E anche a Lisbona, nel corso dell'Assemblea
parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo abbiamo colto
questo cambiamento di marcia. Nella riunione dei presidenti dei 33
parlamenti presenti, è stato naturale parlare della necessità di
condividere l'accoglienza dei richiedenti asilo fra i 28 Paesi
europei, della partecipazione economica alle attività di soccorso,
identificazione e trasferimento e di rendere l'operazione Triton
simile a Mare Nostrum.
Nella dichiarazione finale, che i
presidenti delle assemblee legislative si sono impegnati a sostenere
presso governi e capi di Stato, sono stati accolti tutti gli
emendamenti presentati dal Parlamento europeo. Davvero nella capitale
portoghese, nel confronto con i Paesi della sponda sud, l'Europa ha
parlato con una lingua sola. In particolare, ha sostenuto la
necessità di "una condivisione equa delle responsabilità",
in un quadro regolamentare "basato sul principio della
solidarietà". E ancora: "sostegno speciale", da parte
dei Paesi che non si affacciano sul Mediterraneo, alle nazioni
esposte al maggior numero di arrivi.
Se il tema dei flussi marittimi
interessa particolarmente Italia, Malta, Grecia, Cipro e Spagna,
quello dei flussi terrestri deve prevedere le medesime condizioni di
solidarietà. È il caso della Turchia, esposta ad una
forte pressione da parte di migranti provenienti dalle zone del
conflitto siriano. Ma non solo: premono alle sue frontiere minoranze
religiose in fuga da molte aree mediorientali che senza la protezione
turca rischierebbero l'estinzione. Il Libano, con un milione e mezzo
di profughi, ha chiuso le frontiere; la Giordania ne ospita 2 milioni
e mezzo. La Turchia è l'unico Paese che può consentire un sostegno
concreto. Ma sia chiaro, arrivare in Turchia è arrivare in Europa.
Le migrazioni modificano i riferimenti
geografici e impongono nuove responsabilità. Dopo l'assemblea di
Lisbona, la presidenza dell'Unione per il Mediterraneo passa dal
Portogallo al Marocco. Da un Paese europeo ad uno nordafricano. Da
una sponda all'altra. Una politica per il Mediterraneo non è
soltanto un affare europeo, a patto che l'Europa continui a parlare
con una voce sola. L'alleanza fra Parlamento europeo e Commissione
Europea si è consolidata nella messa a fuoco di interessi
continentali.L'Agenda immigrazione che presenterà Juncker approderà
al Consiglio europeo di giugno. Ed è là che i governi, con i i loro
interessi e i loro umori, dovranno dimostrare di essere all'altezza
della situazione per non far tornare afona la voce dell'Unione.
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