STEFANO FOLLI
La Repubblica 6 maggio 2015
Gli promette di non andare alle urne
per dargli il tempo di riorganizzare il partito e arginare l’ascesa
di Salvini
Fra le righe dei suoi recenti discorsi
il presidente del Consiglio ha mandato un messaggio al suo ex partner
nel patto del Nazareno. Ha fatto capire a Berlusconi che è una buona
idea procedere sulla via del cosiddetto “partito repubblicano”
all’americana, in modo da porre le premesse di uno futuro scontro
elettorale fra il centrosinistra (il Pd) e la nuova formazione di
centrodestra (per la verità, Renzi si limita a definirla «di
destra»).
Qui i sottintesi sono numerosi. In
primo luogo si avverte la preoccupazione del premier per la crescita
delle liste populiste e anti- sistema (Grillo, Salvini ma anche, in
misura minore, i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni). Ognuno di
questi gruppi fa corsa a sé, ma cosa accadrebbe con il secondo turno
previsto dall’Italicum? La riforma elettorale era stata concepita
da Renzi come piedistallo per il proprio trionfo (il «partito della
nazione») con l’obiettivo di una vittoria al primo turno, ossia
con il 40 per cento dei voti. In subordine, il ballottaggio: ma
avendo di fronte un Berlusconi in disarmo, pronto a farsi
sconfiggere. Tuttavia il crollo di Forza Italia e la parallela ascesa
dei partiti anti-sistema sono variabili che forse Renzi non aveva
considerato. Variabili da cui discendono non poche insidie.
Ecco allora l’idea di favorire la
ricostruzione del centrodestra. Nella speranza che il fronte
berlusconiano riesca a riguadagnare un po’ di consensi, tagliando
l’erba sotto i piedi dei populisti. Se i «repubblicani» di Arcore
conquistassero il diritto al ballottaggio, la minaccia di Salvini e
Grillo sarebbe rintuzzata e le urne del secondo turno sorriderebbero
al «listone» renziano. E si capisce: un ennesimo partito
berlusconiano attirerebbe solo una parte dei voti dei Cinque Stelle o
della Lega o degli astenuti al primo turno. Al contrario, chi può
escludere che un candidato premier con il volto, ad esempio, del
vice-presidente della Camera grillino, Di Maio, otterrebbe consensi
trasversali fra gli elettori disillusi, senza partito o decisi a
votare comunque contro il governo?
Ne deriva che il messaggio di Renzi ha
una sua logica. È come se dicesse a Berlusconi: io non voglio
accelerare sulla via delle elezioni, così da lasciarti il tempo di
riorganizzare il tuo campo e di costruire un ante-murale contro il
fronte anti-sistema; in cambio tu eviterai di farti fagocitare dalla
Lega, destinata a uscire dal voto regionale più solida di Forza
Italia. Non solo: a Palazzo Madama, tu Berlusconi troverai il modo,
non diciamo di resuscitare il patto del Nazareno, ma almeno di
impedire che la sinistra del Pd affossi la riforma costituzionale del
Senato, ciò che renderebbe vana la legge elettorale immaginata per
un sistema monocamerale.
Si tratta solo di segnali, ma
significativi. Il problema è che la rinascita del centrodestra non è
plausibile in tempi medi. Ha sorpreso molti, ad esempio, l’assenza
di Berlusconi e dei suoi, ma anche della Lega, nei giorni della
riscossa di Milano. In quel corteo nelle vie della città dove si è
sentita l’anima dei milanesi, la destra era di fatto assente. Non
aveva capito la posta in gioco. In seguito Salvini e ieri la Gelmini
hanno cercato di correre ai ripari, ma forse troppo tardi e troppo
poco. In altri tempi un errore così grave non sarebbe stato
commesso. Difficile credere che queste carenze, non solo politiche ma
culturali, possano essere sostituite da un dinamismo di tipo
radicale. Come la tentazione di cavalcare l’onda dei referendum
abrogativi dell’Italicum. L’esperienza insegna che questa
strategia ha avuto un senso, in circostanze storiche precise, per una
forza di minoranza come il partito di Marco Pannella ed Emma Bonino.
Nel caso di Forza Italia ha invece il sapore di una mossa
improvvisata per nascondere il vuoto politico. Un vuoto che a Renzi
non dispiace affatto, purché serva per arginare i pericoli che
affiorano ai lati del «partito della nazione». A riprova che
l’Italicum non è la medicina che guarisce tutti i mali delle
istituzioni.
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