Corriere della Sera 23/05/15
Giovanni Bianconi
Sarà il dodicesimo processo a
quarantuno anni dai fatti, prima udienza fissata per martedì
prossimo, ma si rischia già un rinvio. A chissà quando. Oppure uno
stralcio che sottrarrebbe al giudizio l’imputato più
significativo. È l’ennesima beffa in agguato sulla strage di
Brescia, 28 maggio 1974, otto morti e cento feriti, la bomba più
emblematica della strategia della tensione che in insanguinò
l’Italia in quella stagione di transizione politica. Un pezzo di
storia che è ancora cronaca, nel tentativo di attribuire le
responsabilità a qualche nome e cognome, e non solo a un movimento
eversivo.
I dibattimenti del passato hanno chiarito che dietro
l’eccidio c’erano i neofascisti di Ordine nuovo; il prossimo —
dopo l’annullamento dell’ultima assoluzione, deciso dalla
Cassazione nel febbraio 2014 — è l’ultima possibilità per dire
se i due imputati rispediti alla sbarra siano colpevoli o innocenti,
secondo la legge.
L’appuntamento è per il 26 maggio, due
giorni prima dell’anniversario, davanti alla Corte d’assise
d’appello di Milano; quelle disponibili a Brescia sono finite, non
ce n’erano più che non si fossero già pronunciate, e dunque ci si
è dovuti spostare a Milano. Solo che uno dei due accusati — Carlo
Maria Maggi, ottant’anni compiuti a dicembre, capo ordinovista del
Triveneto al tempo della strage — ha presentato tramite il suo
legale un’istanza di sospensione del processo. «Non è in grado di
partecipare al giudizio per l’assoluta incapacità di comprensione
di ciò che gli accade intorno» spiega l’avvocato Mauro Ronco che
ha presentato documentazione medica a sostegno della sua tesi, dove
si riassumono le malattie sofferte dall’ex estremista nero; con
ogni probabilità la Corte disporrà una perizia per verificare la
situazione e dunque il rinvio dell’udienza. Dopodiché, se gli
esperti nominati dai giudici dovessero stabilire che effettivamente
Maggi non è in grado di intendere né volere, dovrà stralciare la
sua posizione e procedere senza di lui. Come è accaduto per Bernardo
Provenzano nel dibattimento sulla presunta trattativa fra lo Stato e
la mafia.
Per le parti civili — i rappresentanti dei familiari
delle vittime che in tutti questi anni sono stati un’autentica
forza propulsiva accanto alla pubblica accusa, senza mai arrendersi
ai depistaggi e agli ostacoli di ogni genere frapposti alla ricerca
della verità, compreso un omicidio commesso in carcere — sarebbe
uno smacco: la figura di Maggi rappresenta infatti il punto d’arrivo
della battaglia che hanno combattuto e vinto, in Cassazione, dopo
l’ultima assoluzione. Con gli elementi raccolti nei confronti di
quell’imputato, ha sentenziato la Corte suprema, era pressoché
impossibile non riconoscerne la colpevolezza: «A carico di Maggi vi
sono moltissimi indizi che paiono essere convergenti verso un suo
ruolo determinante nell’organizzazione della strage, mentre non
sembra esservi un’ipotesi alternativa a quella accusatoria che
possa fare da filo conduttore per tutti gli indizi enumerati». Di
conseguenza i nuovi giudici, pur «restando liberi nelle proprie
determinazioni conclusive» dovranno «adeguarsi ai suddetti principi
e adeguare la motivazione della nuova sentenza».
Con una simile
indicazione giunta dai giudici di legittimità, a Maggi resta una
strada molto stretta per ottenere un verdetto diverso dalla condanna.
E adesso ecco la richiesta di sospensione del processo sine die ;
forse a mai più, considerata l’età avanzata. «Ma nei precedenti
processi non ha mai partecipato a una sola udienza» fa notare Manlio
Milani, che nella strage perse la moglie Livia e da sempre guida
l’Associazione familiari delle vittime. Una stranezza che potrebbe
far nascere qualche sospetto. «Maggi esercita un suo diritto che noi
rispettiamo — chiarisce Milani — però anche noi, dopo tanto
tempo, abbiamo diritto a vedere celebrato questo processo».
Comunque vada, resta la sentenza della Cassazione che indica la
precisa responsabilità di Ordine nuovo veneto e le pesanti ombre sul
suo capo di allora.
E resta l’altro imputato superstite,
Maurizio Tramonte, militante della stessa area eversiva nonché
informatore del servizio segreto militare dell’epoca. Nei suoi
confronti i pubblici ministeri hanno intenzione di chiedere la
riapertura del dibattimento, presentando nuovi indizi a carico .
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