FILIPPO CECCARELLI
La Repubblica 1 maggio 2015
Parricidi all’acqua di rose,
fratricidi light, scannamenti presunti di figli e figliastri invocati
come miti fondativi nel conflitto sull’Italicum.
Singolare coincidenza: più la politica
perde idealità, più vivacchia nel presente, più si rimpicciolisce
e involgarisce riducendosi a zuffa di tifoserie e più riemergono,
per giunta in forma pretàporter, energie e figurazioni di uccisioni
simboliche tra consanguinei e drammoni famigliari di ardua
manegevolezza.
All’origine grosso modo c’è la
rottamazione, nella sua variante pulp. Indecifrabili e al tempo
stesso fin troppo chiare, le peripezie della composita minoranza dem
paiono coagularsi attorno al sacrificio umano di Pier Luigi Bersani
da parte di tanti suoi ipotetici figlioli e figliole da lui stesso a
suo tempo entusiasticamente, ma incautamente favoriti. Mentre alcuni,
come l’innocente Speranza, sarebbero stati da lui costretti a
immolarsi.
Resta da vedere se l’ex segretario
sia stato o possa in effetti considerarsi un padre, o un fratellone,
o magari e più semplicemente uno dei tanti leader che per
consolidata tradizione oligarchica pre-renziana la sinistra
promuoveva, eleggeva, sosteneva e poi regolarmente abbatteva - senza
che mai, però, tali personaggi finissero nel definitivo
dimenticatoio (a parte il povero Occhetto).
Oltretutto Bersani, che possiede una
sua solarità, ha sempre rifiutato questo approccio arcaico e
sanguinolento designandolo qualche anno fa: «Roba da psicanalisi».
E può anche esserlo, sennonché è sintomatico che proprio lui si
trovò a rivendicare per il Pd «un presidio di esperienza», entità
invero evanescente che tuttavia nel partito venne prontamente
interpretata come un modo per tenersi buoni i nonnetti.
Certo con il senno di poi non diede il
giusto peso a un Renzi della prima ora: «Bersani - disse con maligno
candore - ha l’età di mio padre ». Aggiungendo, se è per questo,
che Berlusconi aveva quella di sua nonna. Ora, anche il Cavaliere ha
avuto, ieri con Alfano e oggi con Fitto, i suoi bei trambusti
generazionali. Così come nella Lega prima Maroni e poi Salvini hanno
brutalmente fatto capire all’anziano e malandatissimo Bossi di non
avere troppi scrupoli, nel caso fosse necessario toglierselo di
torno.
La politica è infatti un gioco crudele
e spesso proprio l’ingratitudine ne certifica gli sviluppi. In
questo gli annali della Prima Repubblica non differiscono dal
presente se non nel fatto che l’avvenuto parricidio, singolo e
collettivo che fosse, era pubblicamente riconosciuto a babbo morto.
Vedi il Midas craxiano ai danni del
professor De Martino; o la congiura con cui Occhetto e D’Alema si
accordarono nel garage di Botteghe Oscure per mettere fine alla
segretaria di Natta, che si trovava in un letto d’ospedale, senza
troppo compulsarne la cartella clinica. Vedi anche le tante uccisioni
- per lo più avvelenamenti, ma anche stilettate o finti incidenti -
che si contarono nello scudo crociato: il giovane Bisaglia contro il
suo scopritore Rumor, l’ardente De Mita contro Sullo, il sardonico
Forlani versus Fanfani (ma senza vittoria definitiva).
Ecco, rispetto ad allora, nella Terza
Repubblica il parricidio avviene piuttosto in streaming o addirittura
in anticipo sui tempi dell’ordinario cannibalismo. Ciò non di
meno, sulla scorta di una abbastanza famosa analisi di Umberto Saba,
da qualche tempo diversi osservatori stanno valutando l’ipotesi che
le più belluine dinamiche simboliche del potere in Italia più che
sul parricidio siano in realtà basate sul fratricidio: Romolo e
Remo, Ferruccio e Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e
Graziani : «Gli italiani - si concludeva una delle “ Scorciatoie”
di Saba - vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in cambio, il
permesso di uccidere gli altri fratelli» In questo senso la
divaricazione sarebbe fra una matrice greca, dominata dal conflitto
verticale (Zeus, Edipo, Prodi) e un’altra orizzontale di
derivazione ebraicosemita, caratterizzata da uno scontro primigenio
che da Caino e Abele arriva fino a al ventennale duello tra D’Alema
e Veltroni.
Ora, l’oscura faccenda
storicoantropologica sembra piuttosto impegnativa da sciogliersi in
quattro e quattr’otto; e anche senza scomodare ulteriori e feroci
divinità tipo la Grande Madre Mediterranea, il paradigma pare
onestamente spropositato rispetto al reticolo di vicissitudini che
legano Bersani e la sua pretesa, cospicua progenie di onorevoli che,
nel mollare lo smacchiatore di giaguari sull’Italicum, lo hanno
dato in pasto al Rottamatore Supremo.
E’ quest’ultimo semmai, l’impetuoso
e tracotante Renzi, che tale genere di analisi consentono forse di
decifrare in modo meno convenzionale. Certo nessuno come lui si è
guadagnato la fama di parricida; ma quando si è trattato di fare
secco Enrico Letta, Renzi si è mostrato straordinario anche come
fratello- coltello. Se poi si aggiunge che nell’inner circle del
Giglio si comporta come un dio che atterra e suscita, tanto da aver
già prodotto diverse vittime, beh, Matteuccio assomma un tris di
competenze da omicida politico di consimili. Detta così, fa
impressione. Ma nella post-politica, dove tutto è leggero, le parole
sono anche un gioco, un sogno, un abbaglio, un curioso mistero.
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