GIAMPAOLO CADALANU ALBERTO D’ARGENIO
La Repubblica 14 maggio 2015
Ora l’Italia punta a mandare gli
incursori nei porti libici per distruggere i barconi dei trafficanti
di uomini. Da tempo il governo Renzi coltiva l’idea e adesso, dopo
il via libera di Bruxelles al pacchetto sull’immigrazione, Roma
intende accelerare sull’operazione. Serve prima il via libera delle
Nazioni Unite, ma a Palazzo Chigi e alla Farnesina c’è ottimismo
sulla possibilità di avere una risoluzione del Consiglio di
sicurezza entro la prossima settimana, al massimo una decina di
giorni. Stato d’animo condiviso a Bruxelles e in altre capitali
europee. Il comando della missione con ogni probabilità sarà in
Italia, a Roma presso il Coi di Centocelle, e il comandante
l’ammiraglio di Divisione Enrico Credendino.
Dalla Difesa spiegano che le Forze
Armate hanno preparato diversi tipi di intervento per la Libia, ma
non hanno ancora avviato un addestramento specifico: prima aspettano
la decisione politica che chiarisca obiettivi della missione,
“caveat” e regole d’ingaggio. Solo dopo questo chiarimento
potranno essere delineati in det- taglio i piani e scelti gli
“assetti”, cioè i mezzi da utilizzare.
Sembra comunque probabile che si faccia
riferimento alla Marina per le sue navi anfibie della classe San
Giusto (San Giusto, San Giorgio, San Marco) e per la portaerei Cavour
che garantirebbe un appoggio dall’alto alle operazioni grazie agli
Harrier. La Marina ha a disposizione anche le truppe speciali del
Comsubin (incursori subacquei) e del San Marco che come capacità si
affiancano ai Lagunari: i due corpi sono per l’Italia l’equivalente
dei marines americani. Potrebbero essere adoperati anche altri corpi
speciali dell’Esercito come gli incursori paracadutisti del Col
Moschin. Sarà comunque indispensabile l’impegno dell’Aeronautica,
prima di tutto per le ricognizioni (Tornado Ecr e Predator Mq-1) e se
sarà necessario per la protezione dall’alto degli incursori.
L’idea alla quale lavorano i governi
di Italia e Gran Bretagna è di scaricare gli incursori in alto mare
e che questi (sicuramente italiani, inglesi e francesi) entrino nei
porti, mettano i piedi a terra giusto per il tempo necessario a
danneggiare o affondare i barconi per poi tornare sulle navi madre
senza dare troppa pubblicità al loro operato.
Ma prima di partire serve la
diplomazia. Lunedì a Bruxelles si riuniranno i ministri degli Esteri
e della Difesa. Salvo sorprese approveranno il Cmc, la struttura per
la gestione della crisi con comandante, sede e catena di comando. I
ministri europei daranno così il via alla preparazione tecnica di
una missione esecutiva per interrompere il business dei trafficanti:
identificare, perquisire, catturare, sequestrare e distruggere le
loro barche, naturalmente prima che carichino i migranti. La missione
prevede tre diverse aree di intervento: acque internazionali, acque
libiche e porti libici. Per individuare i natanti i ministri
chiederanno alle proprie intelligence di condividere tutti i dati in
loro possesso per scovare mezzi e movimenti delle bande criminali.
A quel punto la palla passerà all’Onu,
con l’intenzione di arrivare a una risoluzione a breve anche grazie
all’aiuto della presidenza di turno del Consiglio di sicurezza, la
Lituania. Così il via libera finale alla missione potrebbe arrivare
al summit europeo del 27 giugno.
La bozza, inizialmente scritta
dall’Italia, a New York è gestita da Francia e Gran Bretagna, con
gli europei coordinati dal “ministro degli Esteri dell’Unione”,
Federica Mogherini, Russia e Cina informalmente hanno fatto sapere
che non metteranno il veto, ma il linguaggio del testo in queste ore
viene limato per permettere loro di votarlo. Così come anche gli
americani sono molto cauti, non vogliono un linguaggio troppo forte
che crei precedenti.
Gli europei dunque non chiederanno di
bombardare i porti libici, l’opzione è contrastata da russi e
americani. Ieri il Guardian parlava di operazione a terra, ma il
quotidiano britannico è stato smentito dalla Mogherini: «Non ci
saranno azioni di terra, ma operazioni navali». Un modo diplomatico
per non alzare i toni mentre si lavora a un testo abbastanza vago da
poter essere poi interpretato come favorevole alle incursioni nei
porti.
Per arrivare al via libera della
risoluzione restano due nodi. Primo, trovare un linguaggio
sufficientemente cauto da passare ma che tra le righe consenta agli
incursori di operare. Per questo non si parlerà esplicitamente di
affondamenti o operazioni militari, bensì di azioni che danneggino o
mettano fuori uso gli strumenti dei trafficanti di uomini. Per
entrare nei porti servirà poi una risoluzione basata sul Capitolo 7
o una sul Capitolo 6 con il consenso del governo libico. Sul capitolo
7, politicamente aggressivo, frenano gli americani, mentre il via
libera dei libici è complesso da ottenere: il governo di Tobruk,
l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, potrebbe
darlo, ma servirebbe anche quello di Tripoli visto che la maggioranza
dei barconi partono proprio dalla capitale. Ma chiedere a Tripoli
significherebbe riconoscerlo e Tobruk si oppone. Un rompicapo che
dovrà essere risolto dai diplomatici in tempi rapidi.
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