Corriere della Sera 03/05/15
Marco Galluzzo
«Ritengo che tutte le critiche siano
legittime, ma questo passaggio dimostra che il Pd è un partito che
decide, che ha cultura di governo, pienamente consapevole della
responsabilità che si porta dietro. E questo vale anche per coloro
che non hanno votato la fiducia. Penso che sia possibile ritrovare
una sintesi politica, un equilibrio, del resto il partito è
continuamente dipinto come sul punto di sciogliersi o di esplodere,
ma è una raffigurazione che alla prova dei fatti si è sempre
rivelata quantomeno esagerata».
Debora Serracchiani,
vicesegretario del Partito democratico, presidente del Friuli-Venezia
Giulia, ritiene che la rottura parlamentare dovuta alla legge
elettorale sia ricomponibile. O almeno lo auspica. Non la legge come
un dramma, ma come un evento persino fisiologico, almeno «nel più
grande partito di centrosinistra europeo».
Fisiologico, ma
denso di polemiche: vi hanno accusato di metodi
antidemocratici.
«Credo sinceramente che abbiamo fatto tutto il
possibile per evitare che accadesse, diversi motivi politici
all’interno di un partito possono portare a conclusioni diverse.
Non sottovaluto il passaggio, non aver votato la fiducia al proprio
governo è un segnale che non va sminuito, ma credo che dovremo tutti
lavorare, sia chi ha dato fiducia, sia chi non lo ha fatto per le
motivazioni più varie, per ritrovare que di lealtà e coesione che
ci viene chiesta innanzitutto dai nostri elettori, un punto di
sintesi politica comune».
Accelerare e mettere la fiducia, si
poteva evitare?
«Il percorso è stato lungo, non sono d’accordo
con chi dice che c’è stata un’accelerazione. Il Paese sta
aspettando una legge elettorale da almeno una decina di anni, ci sono
stati quindici mesi di discussione su un testo che è stato
profondamento modificato, pensiamo alle diverse soglie, per esempio,
abbassate anche con il contributo della minoranza».
Eppure
restano dei dubbi, anche molto forti, sul merito del provvedimento:
troppo potere a un solo partito che vince, per esempio.
«Ogni
italiano ha in mente una sua legge elettorale, almeno coloro che si
interessano al tema. Noi abbiamo messo in campo una legge elettorale
che in qualche modo corrispondesse alle necessità della
governabilità, della stabilità e di aver chiaro il giorno dello
spoglio chi ha vinto e chi ha perso, in un contesto nel quale credo
siano state superate molte criticità del Porcellum, arrivando a un
testo che consentirà una reale alternanza. Il premio di maggioranza
alla lista in parte eviterà l’usanza tutta italiana di costruire
coalizioni che saltavano puntualmente il giorno dopo il voto. E
inoltre dà una grande responsabilità ai partiti politici che
tornano ad essere centrali».
Ritrovare un equilibrio nel Pd
significa correggere la riforma del Senato?
«Non c’è nessuna
merce di scambio con il Senato, la necessità di riforma prosegue, il
lavoro è ancora in corso, durerà ancora parecchio tempo. Se ci
saranno modifiche o nuove iniziative verranno valutate, c’è sempre
stata una disponibilità, se si tratta di migliorare il testo. Poi
ovviamente arriva il momento in cui tiri le somme e vai al voto.
Dobbiamo anche tener presente che le riforme sono coordinate fra
loro, stiamo attuando la riforma Delrio sul superamento delle
Province, quella della Pubblica amministrazione. Penso che siamo un
partito che nei momenti importanti si ritrova, c’è una
consapevolezza che appartiene a tutti, e abbiamo la responsabilità
di governare e di non fallire».
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