domenica 10 maggio 2015

Spataro e le accuse ai colleghi che si propongono come eroi.


Corriere della Sera 10/05/15
Luigi Ferrarella
Ormai, e da parecchi mesi, il procuratore torinese Armando Spataro lo dice ogni volta che può, come ieri al convegno dell’Ucpi sul rapporto tra giustizia e informazione: «Non sopporto più i colleghi che a mo’ di Giovanna d’Arco si propongono come gli unici eroi che lottano per il bene mentre tutto attorno c’è il male, e nemmeno la tendenza a proporsi quali moralisti o storici, come se toccasse ai magistrati moralizzare la società o ricostruire un pezzo di storia». Spataro non contesta «il diritto e il dovere del magistrato di intervenire nel dibattito civile», come tante volte egli ha fatto, ma «é giusto che si intervenga senza dare alcun segnale di dipendenza o vicinanza politica». E giù invece il repertorio di una casistica togata: quel «collega che, di fronte a una sentenza che gli dava torto, dichiarò che, se fosse stato un professore e il giudice uno studente, gli avrebbe messo un 4». O quegli «altri pm che, a distanza di 20 anni dai primi processi di mafia al Nord, arrivano, ne cominciano uno, e dicono: “Finalmente si indaga sul fenomeno”». Dipende, per Spataro, dalle «degenerazioni di ogni tipo che abbiamo in Italia: magistrati che sfruttano il processo famoso per curare la propria icona, avvocati che tendono a trasferire in tv i processi per autopromuoversi, giornalisti che non cercano riscontri ma inseguono misteri, e politici che inseguono slogan e telecamere». È uno dei due poli di un ideale statuto del magistrato. Perché l’altro é il rischio di magistrati burocrati dell’aziendalismo giudiziario tanto di moda. Morbo il cui antidoto resta il Calamandrei evocato in febbraio dal presidente Mattarella proprio davanti ai giovani magistrati: «Il pericolo maggiore che in una democrazia minaccia i giudici è quello dell’assuefazione, dell’indifferenza burocratica, dell’irresponsabilità anonima».

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