Corriere della Sera 09/05/15
Paolo Valentino
Sarà l’inestricabile racconto di due
Russie, la Russia della memoria e la Russia della rivalsa. Sarà la
celebrazione orgogliosa di una vittoria, che cambiò il corso della
Storia e forgiò nel sangue di 27 milioni di vittime l’identità di
un popolo. E sarà la proiezione assertiva e neo-nazionalista di un
Paese, che si sente circondato da nemici e ripropone l’idea della
propria forza e il mito della propria invincibilità.
Non ha
lasciato nulla al caso, Vladimir Putin, nella sceneggiatura del
settantesimo anniversario della vittoria nella Grande Guerra
Patriottica, l’unica definizione che i russi posseggono per la
Seconda Guerra Mondiale. Ogni dettaglio, ogni momento di questo 9
maggio sarà parte di un affresco collettivo, ricco di suggestioni e
di messaggi sottotraccia. In fondo, perfino la diserzione di gran
parte dei 68 capi di Stato e di governo invitati a partecipare alla
cerimonia, soprattutto quella dei principali leader occidentali,
alimenta la narrativa della fortezza assediata alimentata dallo dello
Zar del Cremlino, che ostenta indifferenza, mentre accoglie i nuovi
amici venuti da Oriente.
Alle 10 di stamane la Piazza Rossa,
aggettivo che in russo antico vuol dire bella, sarà palcoscenico
della più grande parata militare nella vicenda russa e sovietica:
tra il museo storico e la cattedrale di San Basilio sfileranno più
di 16 mila uomini, fra i quali 1300 soldati di unità speciali
straniere, guardie d’elite serbe, granatieri indiani, guardie
d’onore cinesi. E ancora 150 aerei da combattimento, più di 200
veicoli corazzati, fra i quali l’ultimo gioiello della difesa
russa, l’Armata T-14, il micidiale carro armato di nuova
generazione, assurto a simbolo del programma di riarmo da 650
miliardi di euro deciso da Putin. E a ricordare la parità strategica
con gli Stati Uniti, ci saranno i nuovissimi RS-24 Yars, i missili
intercontinentali che possono trasportare fino a 10 testate nucleari
indipendenti.
Sul palco che nasconde il Mausoleo di Lenin, ci
saranno il cinese Xi Jinping (con il quale ieri Putin ha firmato una
serie di accordi economici) e l’indiano Modi, il presidente
egiziano Al-Sisi e il leader di Cuba Raúl Castro. Assenti Obama,
Hollande, Cameron e Renzi per protesta contro la politica di Putin in
Ucraina, solo alla deposizione dei fiori sulla tomba del milite
ignoto lo Zar verrà affiancato da alcuni ministri degli Esteri
occidentali, il francese Laurent Fabius e il nostro Paolo Gentiloni.
Diversa la scelta della Germania, che ha già mandato il capo della
diplomazia, Frank-Walter Steinmeier, a Volgograd, già Stalingrado,
teatro della battaglia che cambiò le sorti del conflitto. Angela
Merkel verrà domani e tornerà con Putin sotto le mura del Cremlino,
per rendere omaggio all’eroismo degli antichi nemici. A
mezzogiorno, tutte le chiese di Mosca suoneranno a morto per 15
minuti. In ogni tempio ci sarà un de profundis. E’ la prima volta
che la Chiesa ortodossa, pilastro del sistema putiniano, dedica una
liturgia ai caduti nella Grande Guerra Patriottica. Diventerà
tradizione.
Ma per quanti simbolismi e quanta volontà di potenza
Vladimir Vladimirovich avvia voluto caricare nelle celebrazioni,
nulla poteva essere aggiunto e nulla può considerarsi esagerato
nella totale identificazione dei russi con questa ricorrenza. Non ci
sarà nulla di forzato nel corteo dei familiari che porteranno i
ritratti dei caduti lungo via Tverskaya per confluire sulla Piazza
Rossa, o nei veterani che forse per l’ultima volta parteciperanno a
un 9 maggio così significativo. Non c’è nulla di posticcio nella
marea di popolo, che dalle prime ore del mattino inonderà come un
mare calmo nel centro della capitale.
Certo l’umore sarà
quello alimentato da mesi di retorica grande-russa e antioccidentale.
Ma con o senza la propaganda del Cremlino, la Guerra Patriottica
resta la placenta della memoria collettiva di un popolo, che come
nessuno ha pagato nella lotta contro il nazismo: più della metà dei
russi ha avuto un parente morto nel secondo conflitto mondiale.
Perfino Putin, abbandonando la tradizionale immagine ferrigna, ha
ricordato la lotta per la sopravvivenza dei suoi genitori
nell’assedio di Leningrado. E’ stata la fugace concessione di un
leader, che di regola preferisce il linguaggio della forza e la
retorica dell’orgoglio nazionale.
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