Corriere della Sera 17/05/15
Dario Di Vico
Anche solo ventilare da parte di Cgil,
Cisl e Uil il blocco degli scrutini di giugno è sembrata a molti una
forte discontinuità con la storia del sindacalismo italiano e delle
forme di lotta adottate tradizionalmente. E quindi purtroppo non deve
sorprendere che i Cobas abbiano fatto propria quell’idea e anzi
abbiano bruciato sul tempo la Triplice proclamando il blocco per
giugno. Vuol dire che le barriere simbolico-culturali che separavano
il sindacalismo confederale da quello estremista rischiano di cadere
e, cosa ancor più grave, di farlo gettando nell’angoscia studenti
e famiglie.
Qualcosa di simile sta succedendo anche nei trasporti
pubblici. Sigle minoritarie come Cub e Usb indicono scioperi quasi
sempre di venerdì e nella maggior parte dei casi inutili perché non
sono al servizio di piattaforme rivendicative praticabili. Le
dirigenze confederali non muovono un dito e paiono tutto sommato
contente che le controparti prendano comunque uno schiaffo: capita
così che alla fine scioperi anche una parte, seppur minoritaria,
degli iscritti a Cgil, Cisl e Uil. Tanto comunque, specie nella
metropolitana, bastano poche adesioni a far scoppiare il caos.
Se
non ci fosse stata la precettazione da parte del prefetto di Milano
venerdì scorso avremmo dovuto registrare una giornata nera nella
città dell’Expo e un’ennesima figuraccia internazionale. Il
problema si porrà di nuovo nel semestre dell’esposizione
nonostante la moratoria degli scioperi sottoscritta, con evidente
opportunismo, dalla Triplice. Di fronte a queste tattiche del
conflitto e a un mutamento di cultura delle forme di lotta emerge
l’inefficacia dell’ authority che dovrebbe raffreddare i
conflitti e invece appare, nella migliore delle valutazioni, come una
voce che parla nel deserto. Non ci sarebbe da stupirsi se in tempo di
spending review a qualcuno venisse in mente addirittura di tagliarla.
Al di là del caso scrutini sono comunque due le considerazioni
che vale la pena aggiungere. Il sindacalismo confederale, in primis
la Cgil, sta mutando nel profondo: ripudia giustamente il
collateralismo dei tempi d’oro ma non sembra averlo sostituito con
una bussola altrettanto significativa. Procede per singhiozzi,
campagne politiche, manifestazioni di intolleranza nei confronti
della politica: tirando però una linea tra questi punti non ne viene
fuori un cammino coerente e una proposta all’altezza dei problemi
aperti. Quanto al governo si è riempito la bocca della
«disintermediazione» usata come parola-talismano e si trova oggi a
fronteggiare il blocco degli scrutini indetto dai Cobas di Piero
Bernocchi, un attivista la cui longevità politica rivaleggia con
quella Fidel Castro. Come è potuto accadere? Non sarà il caso di
spremere le meningi ed elaborare una cultura politica dello spazio
sociale che sappia coniugare innovazione e vero dialogo?
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