Corriere della Sera 16/05/15
Francesco Verderami
Perché è vero che non c’è ancora
un accordo tra i Paesi comunitari sull’equa distribuzione degli
«asilanti», ma è altrettanto vero che — intanto — è passato
il principio di reciproca assistenza, prima breccia nel muro di
Dublino. Tutto ciò mentre la diplomazia del Vecchio Continente è
all’azione per dare il via alla missione militare, siccome
finalmente — come ha detto in un vertice del Ppe a Berlino il
ministro della Difesa tedesco — «il fronte a Sud è da
considerarsi strategico quanto il fronte a Est. L’immigrazione,
infatti, oltre a essere un problema umanitario è un serio rischio
per la sicurezza europea. Dunque è un problema di tutti».
E
tutti sono all’opera a Bruxelles, dove si sta preparando
l’intervento per contrastare il flusso proveniente dalla Libia: da
mesi sono allo studio le linee di comando, le opzioni militari e i
rischi derivati dagli effetti collaterali. In attesa della
risoluzione alle Nazioni Unite si mira a inserire tra i caveat
«l’inseguimento fino a terra dei trafficanti»: un deterrente per
far capire agli scafisti che non potranno pensare di agire
impunemente. Certo, servirà l’ok dell’Onu che passerà (anche)
dal consenso del governo di Tobruk, con cui è stato avviato il
dialogo per arrivare al negoziato. È toccato alla Mogherini il primo
approccio, è l’Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri
che ha avuto un colloquio a New York con l’ambasciatore libico al
Palazzo di Vetro, mentre — attraverso canali politici e diplomatici
— Londra esorta Roma ad assumersi direttamente la responsabilità
del dossier.
Così sta per materializzarsi quel «rischio che
nasconde un’opportunità», come disse il ministro dell’Interno a
Renzi, quando il premier voleva tenersi a distanza dal problema:
«Perché comunque si affronti la questione immigrazione, si beve».
Ma alla fine il capo del governo ha convenuto con Alfano, dato che
«il rischio» della missione nasconde «l’opportunità» di
prospettare per l’Italia un ruolo di potenza regionale, con il
Mediterraneo come sfera di influenza: «Non si è leader di politica
interna senza un ruolo in politica estera». D’altronde Renzi deve
far di necessità virtù, visto che Obama — ricevendolo alla Casa
Bianca — disse che gli Stati Uniti erano «pronti a dare una mano»
sulla Libia, ma che «quel problema dovrete affrontarlo voi».
La
«cabina di regia» italiana nella soluzione diplomatico-militare del
caso libico è la conseguenza della soluzione comunitaria che si sta
trovando sul dossier immigrazione. E non c’è dubbio che il
passaggio determinante si è avuto durante il semestre di presidenza
guidato da Renzi, quando Alfano — che si sentiva lasciato solo a
Roma — disse ai partner europei: «Non ci potete lasciare soli».
Furono giorni difficili, con la Merkel che insisteva: «Dovete
chiudere Mare Nostrum», perché l’operazione era considerata un
fattore di «pull factor», che incoraggiava le partenze dei barconi
e faceva il gioco dei trafficanti. Il titolare del Viminale assicurò
il suo impegno tra lo scetticismo dei colleghi e le critiche del
ministro dell’Interno tedesco: «Non vi attenete alle regole di
Dublino». «Non è così», fu la risposta: «Però riteniamo quelle
regole ingiuste e da cambiare». «Su questo concordo», disse de
Maizière.
Da lì ebbe inizio la trattativa sulla missione Triton
che Renzi assecondò — malgrado le resistenze nel suo partito —
consapevole ormai che un problema di politica estera non poteva
restare confinato a un problema di politica interna. Triton fu il
primo segno di una presa di coscienza collettiva dell’Europa, «che
fino ad allora — come sostiene Alfano — aveva solo saputo portare
i fiori a Lampedusa». Da allora il premier italiano ha esposto se
stesso e il suo governo, e dopo l’ennesima strage del mare ha
chiesto e ottenuto il vertice d’emergenza, «evento — disse in
Consiglio dei ministri — capitato solo ai tempi dell’Undici
settembre».
Ora che l’Europa ha potenziato Triton, ora che
lavora per una risoluzione all’Onu, ora che definisce i piani
d’intervento militare, ora la stessa Europa si prepara a litigare
sulle quote di accoglienza, con i Paesi più piccoli pronti a fare
resistenza, a fronte dell’Italia che mira a redistribuire tra i 20
e i 50 mila migranti negli altri Stati dell’Unione. Eppure anche
questa lite è una buona notizia, perché il principio è passato,
perché si è di fatto riconosciuto che le regole di Dublino non
hanno funzionato e vanno cambiate. Non sarà la soluzione del
problema, forse nel breve periodo la svolta non verrà percepita
dall’opinione pubblica. Ma insieme alle mappe militari c’è oggi
una rotta politica tracciata in Europa anche dall’Italia.
Nessun commento:
Posta un commento