lunedì 18 maggio 2015

Come è nata la «cabina di regia» italiana.

Corriere della Sera 16/05/15
Francesco Verderami
Perché è vero che non c’è ancora un accordo tra i Paesi comunitari sull’equa distribuzione degli «asilanti», ma è altrettanto vero che — intanto — è passato il principio di reciproca assistenza, prima breccia nel muro di Dublino. Tutto ciò mentre la diplomazia del Vecchio Continente è all’azione per dare il via alla missione militare, siccome finalmente — come ha detto in un vertice del Ppe a Berlino il ministro della Difesa tedesco — «il fronte a Sud è da considerarsi strategico quanto il fronte a Est. L’immigrazione, infatti, oltre a essere un problema umanitario è un serio rischio per la sicurezza europea. Dunque è un problema di tutti». 
 E tutti sono all’opera a Bruxelles, dove si sta preparando l’intervento per contrastare il flusso proveniente dalla Libia: da mesi sono allo studio le linee di comando, le opzioni militari e i rischi derivati dagli effetti collaterali. In attesa della risoluzione alle Nazioni Unite si mira a inserire tra i caveat «l’inseguimento fino a terra dei trafficanti»: un deterrente per far capire agli scafisti che non potranno pensare di agire impunemente. Certo, servirà l’ok dell’Onu che passerà (anche) dal consenso del governo di Tobruk, con cui è stato avviato il dialogo per arrivare al negoziato. È toccato alla Mogherini il primo approccio, è l’Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri che ha avuto un colloquio a New York con l’ambasciatore libico al Palazzo di Vetro, mentre — attraverso canali politici e diplomatici — Londra esorta Roma ad assumersi direttamente la responsabilità del dossier. 
 Così sta per materializzarsi quel «rischio che nasconde un’opportunità», come disse il ministro dell’Interno a Renzi, quando il premier voleva tenersi a distanza dal problema: «Perché comunque si affronti la questione immigrazione, si beve». Ma alla fine il capo del governo ha convenuto con Alfano, dato che «il rischio» della missione nasconde «l’opportunità» di prospettare per l’Italia un ruolo di potenza regionale, con il Mediterraneo come sfera di influenza: «Non si è leader di politica interna senza un ruolo in politica estera». D’altronde Renzi deve far di necessità virtù, visto che Obama — ricevendolo alla Casa Bianca — disse che gli Stati Uniti erano «pronti a dare una mano» sulla Libia, ma che «quel problema dovrete affrontarlo voi». 
 La «cabina di regia» italiana nella soluzione diplomatico-militare del caso libico è la conseguenza della soluzione comunitaria che si sta trovando sul dossier immigrazione. E non c’è dubbio che il passaggio determinante si è avuto durante il semestre di presidenza guidato da Renzi, quando Alfano — che si sentiva lasciato solo a Roma — disse ai partner europei: «Non ci potete lasciare soli». Furono giorni difficili, con la Merkel che insisteva: «Dovete chiudere Mare Nostrum», perché l’operazione era considerata un fattore di «pull factor», che incoraggiava le partenze dei barconi e faceva il gioco dei trafficanti. Il titolare del Viminale assicurò il suo impegno tra lo scetticismo dei colleghi e le critiche del ministro dell’Interno tedesco: «Non vi attenete alle regole di Dublino». «Non è così», fu la risposta: «Però riteniamo quelle regole ingiuste e da cambiare». «Su questo concordo», disse de Maizière. 
 Da lì ebbe inizio la trattativa sulla missione Triton che Renzi assecondò — malgrado le resistenze nel suo partito — consapevole ormai che un problema di politica estera non poteva restare confinato a un problema di politica interna. Triton fu il primo segno di una presa di coscienza collettiva dell’Europa, «che fino ad allora — come sostiene Alfano — aveva solo saputo portare i fiori a Lampedusa». Da allora il premier italiano ha esposto se stesso e il suo governo, e dopo l’ennesima strage del mare ha chiesto e ottenuto il vertice d’emergenza, «evento — disse in Consiglio dei ministri — capitato solo ai tempi dell’Undici settembre». 
 Ora che l’Europa ha potenziato Triton, ora che lavora per una risoluzione all’Onu, ora che definisce i piani d’intervento militare, ora la stessa Europa si prepara a litigare sulle quote di accoglienza, con i Paesi più piccoli pronti a fare resistenza, a fronte dell’Italia che mira a redistribuire tra i 20 e i 50 mila migranti negli altri Stati dell’Unione. Eppure anche questa lite è una buona notizia, perché il principio è passato, perché si è di fatto riconosciuto che le regole di Dublino non hanno funzionato e vanno cambiate. Non sarà la soluzione del problema, forse nel breve periodo la svolta non verrà percepita dall’opinione pubblica. Ma insieme alle mappe militari c’è oggi una rotta politica tracciata in Europa anche dall’Italia.


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