MASSIMO RECALCATI
La Repubblica - 3/7/14
La politica della rottamazione ha avuto
il senso di introdurre una discontinuità necessaria in un mondo
politico che nel suo insieme si è rivelato inadeguato a governare la
vita della Comunità. Ma la figura di Telemaco — citata ieri da
Renzi — va oltre la rottamazione.
Intanto perché Telemaco — o il suo
complesso come ho titolato un mio libro di due anni fa — ,
diversamente da Edipo, non vive nell’antagonismo mortale e sterile
nei confronti dei padri come è accaduto per le generazioni del ‘68
e del ‘77. Telemaco si configura piuttosto come l’immagine del
figlio giusto, cioè del giusto erede. Essere figli giusti, essere
giusti eredi, significa riconoscere il debito simbolico con chi è
venuto prima di noi. È entrare in una relazione generativa con i
nostri avi. Questo ha fatto Renzi nei confronti dei padri costituenti
dell’Unione Europea.
Il riconoscimento del debito è la
condizione necessaria per essere giusti eredi. MaTelemaco e con lui
le nuove generazioni, sa bene che l’eredità non è acquisizione
passiva di rendite, di beni o di geni. Piuttosto — come ricordava
nell’ultima frase scritta di suo pugno il padre della psicoanalisi
citando Goethe — per possedere davvero quello che i padri hanno
lasciato devi riconquistarlo. È questo il movimento più autentico
dell’ereditare. Ecco perché Telemaco non è solo una figura della
nostalgia. Egli non si limita ad attendere dal mare il ritorno
glorioso del padre per riportare la Legge ad Itaca offesa dai Proci.
Non assomiglia per nulla ai personaggi beckettiani di Aspettando
Godot che restano paralizzati nell’attesa di essere salvati. È
necessario invece che il figlio si cimenti nel suo proprio viaggio e
che corra il pericolo più grande, è necessario che sfidi il mare. È
con il viaggio di Telemaco e non con quello di Ulisse che si apre
l’Odissea di Omero. I Proci attentano la vita del figlio che vuole
ristabilire la Legge nella sua città. Eppure i nostri figli —
Matteo Renzi compreso — , diversamente da Telemaco, non sono figli
di re, non ereditano regni. Piuttosto viene lasciato loro un mondo
incerto, senza futuro e senza speranza. Ma il figlio giusto, il
giusto erede, è anche colui che sa assumere fino in fondo la propria
responsabilità. L’etimologia del termine erede — come ha
mostrato bene Massimo Cacciari — viene infatti dal greco cheros che
significa spoglio, deserto, mancante e che rinvia a orphanos, orfano.
Questo significa che è solo il viaggio del figlio che rende
possibile la fondazione di una nuova alleanza tra le generazioni.
Il nostro tempo non è il tempo degli
adulti che non esistono più e di cui la crisi della politica è
stata una delle manifestazioni più acute. I padri si sono persi
nella maschera paradossale di una giovinezza che non vorrebbe mai
finire confondendosi coi loro figli. La notte dei Proci che ha
caratterizzato i nostri ultimi venti anni è anche la notte di una
caduta della differenza simbolica tra le generazioni. Oggi è il
tempo dei figli e del loro viaggio: Telemaco, diversamente da Edipo
non vuole la pelle del padre, non rifiuta la filiazione, non entra in
un conflitto mortale con i suoi avi. Sa che per riportare la Legge ad
Itaca bisogna unire le forze, bisogna rifondare un patto tra le
generazioni.
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