Corriere della Sera 11/01/15
Isabella Bossi Fedrigotti
Nella tormentatissima Nigeria si è
fatta saltare — nuova efferata prodezza organizzata da Boko Haram —
una bambina di non più di dieci anni, al mercato della città di
Maiduguri, già preso di mira in novembre da due giovani donne
kamikaze. Ha compiuto un massacro, la piccola martire, dilaniando a
morte diciannove persone e ferendone altrettante in modo grave;
invano i vigilantes l’avevano fermata all’ingresso, messi in
allarme dal metal detector: prima che riuscissero a neutralizzarlo,
l’ordigno è esploso. Oppure l’hanno fatta saltare con un
telecomando a distanza come si fa con un’automobile carica di
esplosivo? Entrambe le ipotesi ci lasciano senza fiato, incapaci di
comprendere: al punto che la comune umanità in nome della quale,
almeno per quanto riguarda gli istinti primordiali, tendiamo a
riconoscerci tutti quanti, tra loro e noi ci sembra venire meno. Non
perché — malauguratamente — possiamo definirci meno esperti in
atrocità, bensì perché sono perseguite, queste atrocità,
studiate, portate a termine e poi anche esaltate nel nome di una
religione.
Se l’hanno convinta, se l’hanno indottrinata, la
ragazzina, magari scelta nel degrado di un’esistenza di fame, di
solitudine e abbandono, e perciò comprensibilmente arrendevole al
richiamo, quale paradiso le hanno mai potuto promettere, quei perfidi
maestri, per indurla ad andare al mercato con la cintura esplosiva
indosso? Visto che per lei le settantadue vergini dagli occhi neri
destinate ai martiri maschi non hanno senso, che altro premio le è
stato fatto balenare?
A lla piccola gli assassini hanno promesso
casa, cibo, benessere, affetto, vestiti, giocattoli, su misura di un
meraviglioso eden femminile, anzi, infantile? Sangue su sangue, fiumi
di sangue — il suo che si mescola con quello delle sue vittime —
per ottenere il premio eterno? Povera bambina, povera infelice
piccola donna incappata nelle grinfie di esseri senza pietà. Ancora
peggiore risulta l’orrore se, come sembra più probabile, l’hanno
fatta saltare da lontano, con un telecomando, bomba viva e ambulante
senza che lo sapesse, non bambina per chi l’ha mandata, non essere
umano, ma soltanto un corpo utile perché in grado di spostarsi e
portare morte. Senza destare sospetti: perché anche nel Paese dei
massacri, anche nel mercato già preso di mira da kamikaze, da una
ragazzina, con un piccolo sorriso, chissà, non ci si può, non ci si
vuole aspettare il colpo che sbrana, che fa a pezzi. L’hanno
comprata, forse, gli assassini, da genitori miserabili, con altri sei
o sette figli da mantenere magari, oppure l’hanno trovata orfana,
di peso a qualche parente ben contento di liberarsene in cambio di
due soldi. O semplicemente bambina di nessuno, perduta, che docile
segue l’orco travestito da buon amico, da padre, da fratello. Vai
al mercato, ecco gli spiccioli, fai questa commissione per me, con il
resto puoi anche comprarti qualcosa che ti piace. La cintura è per
proteggerti. Vai piccola. Brava piccola. Rammentando il curriculum
dei criminali di Boko Haram e il trattamento riservato alle duecento
studentesse rapite e mai tornate a casa, non si può non pensare al
corpo della giovanissima kamikaze, corpo senza valore — perché di
donna? — sfruttato, usato, buttato via, piccolo mucchio di carne
barbaramente sacrificato a scopo malefico. Senza nome oltretutto:
vano cercare nelle notizie di agenzia traccia della sua identità.
Sappiamo come si chiama il capo dei vigilantes del mercato — Ashirù
Mustafhà — mentre di lei sappiamo solo che era bassina di statura,
che dimostrava dieci anni al massimo .
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