Corriere della Sera 25/01/15
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La sintesi più efficace del dibattito
in corso sulla stato della giustizia sta in ciò che è accaduto ieri
a Bologna, alla cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario.
L’esponente «laico» di indicazione «grillina» del Consiglio
superiore della magistratura, Alessandro Zaccaria, ha detto che il
Csm «vuole essere parte attiva delle riforme, perché se si aspetta
il governo o non arrivano oppure si vede di che qualità sono». Ha
ribattuto la vice-presidente della Regione Elisabetta Gualmini,
renziana convinta, che «le riforme della legislazione le propone il
governo e sono approvate dal Parlamento», quindi il Csm non c’entra.
Terzo incomodo nel botta e riposta il «padrone di casa», presidente
della corte d’appello Giuliano Lucentini, secondo il quale rispetto
ai tempi dei governi Berlusconi sono cambiati i toni ma non la
sostanza della «delegittimazione dei giudici». Lo scontro tra
giustizia e politica, insomma, non sembra placarsi, così come quello
interno alla magistratura. A Milano — dove tutti i procuratori
aggiunti (tranne uno in ferie) si schierano al fianco del capo Bruti
Liberati, in segno di plateale solidarietà nella disputa con Robledo
— il presidente della corte d’appello se la prende con i colleghi
di Palermo che non hanno risparmiato, «alla Repubblica e alla
magistratura» la testimonianza di Giorgio Napolitano nel processo
sulla presunta trattativa fra Stato e mafia. E a Palermo il
«reggente» della corte invita la «società civile» a non
schierarsi sempre e solo dalla parte dei pubblici ministeri, poiché
bisogna sostenere anche i giudici che a volte assolvono «per carenze
degli organi investigativi e requirenti». Sono scaramucce, dirette o
a distanza, che manifestano un certo malessere anche nei rapporti tra
toghe. Fermo restando che i disagi maggiori restano nei confronti del
governo e di un presidente del Consiglio che, per dirla con il
procuratore generale di Torino Maddalena, «non ha trovato di meglio
che ispirarsi al personaggio di Napoleone della Fattoria degli
animali di orwelliana memoria, che aveva scoperto il grande rimedio
per tutti i problemi della vita: far lavorare gli altri fino a farli
crepare dalla fatica». Chiaro riferimento al taglio delle ferie
deciso per decreto; un provvedimento «che ancor ci offende» e nulla
ha a che vedere con i tempi lunghi della giustizia. Lo dicono quasi
tutti, in ogni città d’Italia, così come quasi tutti sottolineano
che la riforma della responsabilità civile è sbagliata, e gli altri
progetti in campo sostanzialmente inutili. «Ben misera cosa»
riassume un po’ brutalmente il pg facente funzioni a Milano.
L’Associazione magistrati continua a rimproverare al governo un
«approccio non sufficientemente meditato», e puntuale arriva il
rimbrotto di Cicchitto: «Continuano a fare polemica politica»
(mentre gli avvocati accusano simultaneamente governo e toghe, e i
radicali continuano a denunciare «lo Stato criminale per il
trattamento inumano nelle carceri e l’irragionevole durata dei
processi»). Come se fosse sempre tutto uguale a prima, in una
contrapposizione inevitabile. L’altro ieri il primo presidente
della Cassazione non ha esitato a criticare la politica ma anche
«alcuni atteggiamenti della magistratura che non può non
interrogarsi sulle sue corresponsabilità» nella crisi di fiducia
nella giustizia. Invitando tutte le istituzioni ad «allargare
l’orizzonte per guardare oltre e dimostrare di saper accettare la
sfida dei tempi». La speranza è che non resti solo un auspicio,
rituale come l’inaugurazione dell’anno giudiziario.
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