Corriere della Sera 26/01/15
andrea nicastro
I politici, direbbe Forrest Gump, sono
come i cioccolatini: puoi vedere la carta che li avvolge, ma non sai
mai quello che troverai dentro.
La carta che sta attorno allo
spauracchio d’Europa, Alexis Tsipras, il trionfatore del voto
greco, lascia pochi dubbi: è da bandiera rossa trionferà. Invece
dei crocefissi e delle icone ortodosse, negli uffici del partito sono
appesi i ritratti di Rosa Luxemburg e Karl Marx. C’è la faccia di
Che Guevara sulle magliette, sugli striscioni, sui manifesti. C’è
l’arcobaleno dei movimenti no global, ecologisti, libertari e
pacifisti cresciuti negli anni 90 orfani del comunismo reale. Dal
packaging manca completamente la falce e martello, ma solo perché è
rimasta in dote al Kke, il Partito comunista greco convinto che sotto
l’involucro di Syriza sia nascosto un Tsipras appena appena
socialdemocratico oppure, come l’hanno attaccato nei comizi, «uno
venduto alla finanza internazionale».
Tsipras è dal 2008
presidente di una coalizione di estrema sinistra (Syriza) che prima
della sua leadership viaggiava attorno al 2% e che poi, con il
giovanotto alla testa, è cresciuta di voto in voto. L’anno dopo
era già al 5%, nel 2012 al 16%, nel 2014 al 26%, oggi appena sotto
al 40%. L’armamentario del partito è rimasto identico, ma il nuovo
presidente era evidentemente qualcosa di meglio. Nel modo di parlare,
di vestire, di stare in tv, di affrontare uno alla volta gli
obbiettivi politici e convincere tutti i compagni a perseguirli.
Oppure ad andarsene. Tsipras ha cacciato dal partito tanti
concorrenti, fondatori, ex mentori, mantenendo sempre la leadership a
forza di carisma e vittorie.
A guardarlo non pare un
rivoluzionario, semmai un radical chic. Un po’ di gommina sui
capelli, golf e giubbotti Burberry. La cravatta mai, come un feticcio
al contrario. L’ha anche promesso: «Ne metterò una solo alla
cerimonia per la cancellazione del debito pubblico». Una cravatta
per 320 miliardi sarebbe un affare, certo più conveniente del suo
unico vizio conosciuto, il parrucchiere in piazza Kolonaki, la più
chic di Atene, dove taglio e shampoo costano 60 euro.
Chi c’è
sotto la carta? Probabilmente il primo esemplare di una nuova specie
politica, quella dei Robin Hood della nuova Europa impoverita e
cinesizzata. E’ un figlio borghese che non riesce ad accettare che
democrazia non faccia più rima con benessere. Che Europa non
significhi più diritti umani e accoglienza per gli immigrati. Che
qualcuno stia male e non ci sia un ospedale per curarlo. Magari ha
ragione lui, magari no. Ma ci sta provando. E i greci con lui.
Restare nell’euro, per Tsipras, vuol dire restare in una cornice di
valori che comprende la democrazia, la sanità pubblica, l’educazione
e anche le pari opportunità. Non può solo voler dire 2,5 di avanzo
primario e spread sostenibile.
Ha 40 anni, è ingegnere civile
con master in urbanistica. Scuole pubbliche, laiche e solo greche.
Inglese imparato da adulto, non ancora fluido, nonostante i corsi
intensivi dell’ultimo anno. Anche il padre era ingegnere,
imprenditore edile. C’è qualche chiacchiera su di lui perché
riusciva a lavorare anche con il regime dei colonnelli. Si è parlato
di una zia di Alexis sposata al numero due della dittatura. «Famiglia
progressista — taglia corto Alexis — certamente non comunista».
Uno che non ha mai lavorato in vita sua, che fa il rivoluzionario con
i soldi di papà, lo accusano gli avversari.
Dora Antoniu,
giornalista di Kathimerini , sostiene che Alexis sia una sorta di
replicante. «Gesticola e si muove come il vecchio Papandreu (l’ex
onnipotente leader dei socialisti greci degli anni 70, ndr ). Pian
piano ha imparato persino ad usare il suo tono di voce». Per tanti
elettori centristi umiliati dalla Crisi essere un «nuovo Papandreu»
non è un insulto, ma un complimento. Al contrario, per l’anima di
sinistra-sinistra di Syriza suona terribile.
Fino a ieri è
stato questo il suo merito principale: dire cose che non aveva mai
detto nessuno — tipo non pagare i debiti — e allo stesso tempo
restare nell’euro, con il sorriso del bravo ragazzo stampato in
viso. Credibile e confortante. Come quando prendeva il traghetto per
Bari, per andare alle manifestazioni no global in Italia. Giovane,
spavaldo, con la sicurezza che anche facendo qualche mattana non gli
sarebbe successo nulla di grave. Infatti fu espulso e rimesso sul
traghetto.
È nato nel ’74, quando in Grecia è tornata la
democrazia. Il suo è il mondo delle garanzie, delle sicurezze. Gli
studenti fanno gli studenti: protestano, occupano, gridano. I
poliziotti fanno i poliziotti: sgomberano, caricano, ma in fondo di
Genova ce n’è stata solo una. Di solito non muore nessuno e dopo
la manifestazione si va tutti assieme a guardare la partita. Perché
Tsipras dovrebbe pensare che a Bruxelles o a Francoforte il mondo
dovrebbe essere diverso? I greci hanno fame. Non è giusto, non è
«democratico», quindi qualcuno li ascolterà. Basterà protestare,
farsi sentire, come ai tempi delle occupazioni studentesche.
«La
speranza sta arrivando» è stato lo slogan della sua campagna
elettorale. La Grecia ne aveva bisogno, come aveva bisogno di
qualcuno che unisse rivoluzione e stabilità. «In Grecia e in Europa
con la fine dell’austerità tornerà la democrazia». E’ un
riflesso condizionato, un contorcimento semantico. Democrazia
significa benessere. Europa significa giustizia. Per vincere le
elezioni ha funzionato.
Nessun commento:
Posta un commento