Corriere della Sera 31/12/14
corriere.it
Il caso è a Napoli ma il tema è
generale: le primarie per il Pd stanno diventando un problema. Ieri
la direzione campana del partito ha deciso un ulteriore rinvio: si
doveva votare il 14 dicembre, poi l’11 gennaio, adesso il 1°
febbraio. Un balletto imbarazzante. E chissà, a questo punto, se le
urne si apriranno davvero. A Roma infatti non sono per niente
convinti, per usare un eufemismo, dei tre candidati finora in lizza:
il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca (sotto processo per abuso
d’ufficio), Andrea Cozzolino (che nel 2011 vinse a Napoli primarie
poi annullate per irregolarità) e la senatrice Angelica Saggese.
Ai
vertici preferirebbero di gran lunga un unico nome (magari l’ex
capogruppo di Sel approdato al Pd Gennaro Migliore) per evitare
l’ennesima battaglia interna con il rischio, visti i precedenti, di
accuse e contestazioni. Ieri a Napoli (quasi 300 persone in sala e
clima «frizzante») la più applaudita è stata la segretaria
regionale Assunta Tartaglione quando ha detto: «Decidiamo noi, non a
Roma». Insomma, la Campania per Renzi è una grana e non a caso il
vicesegretario Lorenzo Guerini ha preferito non presenziare alla
riunione sperando che il rinvio a febbraio porti consiglio.
Restano invece fissate all’11 gennaio le primarie in Liguria. I
candidati stanno litigando su tutto, anche sull’ubicazione dei
seggi. Ma i sospetti più velenosi riguardano la partecipazione
indiretta alla competizione di ex del centrodestra (in particolare
dell’ex senatore pdl Franco Orsi, aperto sostenitore di Raffaella
Paita, la rivale più accreditata di Sergio Cofferati).
Che si
tratti quindi del rischio-brogli o del timore che al voto partecipino
anche gli elettori del centrodestra, le primarie non sembrano più
solo quella «risorsa democratica» celebrata in tante occasioni dai
leader del centrosinistra. A settembre in Emilia-Romagna erano state
un fiasco di partecipazione, anticipando per molti aspetti il grande
flop dei votanti alle elezioni «vere». E poi sullo strumento
aleggia anche lo «spettro» di Mafia Capitale. Nei giorni caldi
dell’inchiesta il presidente del partito Matteo Orfini (nominato
anche commissario del Pd romano) aveva detto: «Con la selezione
della classe dirigente dall’esterno, con le primarie o le
preferenze, il controllo delle infiltrazioni è molto complicato».
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