Corriere della Sera 18/01/15
Maria Teresa Meli
Matteo Renzi è a Pontassieve, in
famiglia, per un sabato che dovrebbe essere di riposo, ma che, come
sempre, non lo è, perché il premier deve ancora sistemare gli
ultimi tasselli del puzzle quirinalizio. Ed è in questo contesto che
gli giunge la notizia ufficiale dell’addio di Sergio Cofferati al
Partito democratico. Notizia, a dire il vero, che non lo coglie di
sorpresa perché è dall’altro ieri che al Pd sanno della decisione
dell’ex leader della Cgil di andare via. «Io rispetto la sua
scelta. Ma uno perde e quindi se ne va? È incomprensibile, non è
credibile»: la pensa così il presidente del Consiglio.
Il
premier con i suoi è molto netto sulla questione: «Il giorno dopo
le primarie chi perde dà una mano a chi vince, come ho fatto io, non
fa ricorsi e non apre discussioni tafazziste che possono essere
strumentalizzate e fare male al partito. E invece Cofferati ha perso
e se ne va...». Poi ai pd liguri Renzi raccomanda: «Calma e gesso.
Ci vuole responsabilità anche se c’è tanta ipocrisia in certe
polemiche».
Ma l’addio dell’ex leader sindacale non sembra
guastare a Renzi una giornata già complicata, come lo sono tutte
queste che precedono il gran giorno dell’avvio delle votazioni per
il Quirinale. Il premier l’altro ieri, alla Direzione del suo
partito, ha lasciato intendere che il 28 il Pd avrà un nome per la
successione a Giorgio Napolitano. Il che non significa
automaticamente che quel nome verrà già sottoposto al voto al primo
scrutinio, anche se quello è il sogno renziano. «La quarta mi
basta», spiega il presidente del Consiglio. Cioè quando sarà
sufficiente la maggioranza assoluta di 505 grandi elettori per essere
eletto.
«Nelle votazioni precedenti — spiega il premier ai
suoi — si può votare scheda bianca». A meno che non avvenga il
miracolo che per il momento Renzi non sembra vedere. Eppure proprio
ieri Silvio Berlusconi, con una nota ufficiale, ha rassicurato il
presidente del Consiglio: Forza Italia non interrompe il dialogo e
non cambia atteggiamento sulle riforme.
Già, il leader di FI è
in una posizione difficile. Non può rompere sull’Italicum e sulla
revisione del bicameralismo perfetto, altrimenti rischia di restare
ai margini del gioco politico però non si fida di Renzi: «Non
vorrei che mi avesse messo all’angolo, anche perché io non ho più
armi». Con il premier, però, il filo del dialogo non si interrompe.
Il presidente del Consiglio lo ha sondato sui possibili candidati al
Quirinale. Gli ha fatto il nome di Sergio Mattarella. Che non sembra
convincere Berlusconi, benché l’ex Cavaliere non abbia alzato le
barricate contro di lui. Anche perché il leader di Forza Italia non
è sicuro che sia veramente quello il nome definitivo di Renzi. E
comincia a dubitarlo pure qualcuno nel Pd. Se non altro perché
notoriamente Mattarella è in ottimi rapporti con Massimo D’Alema,
che di lui ha detto ad alcuni compagni di partito: «È l’uomo che
può bilanciare Renzi».
A Berlusconi non dispiace invece
l’altro candidato supportato da D’Alema: Giuliano Amato. «Di
tutti i nomi il suo è il migliore per noi», ha spiegato l’ex
leader di Forza Italia ai suoi. Berlusconi, invece, finora non ha
ancora formulato un giudizio sull’ipotesi Veltroni. Non si è detto
pregiudizialmente contrario a questa ipotesi e a Gianni Letta il nome
dell’ex segretario del Partito democratico piace, ma il problema,
paradossalmente, potrebbe trovarsi in casa pd. D’Alema ha fatto
sapere che sul nome di Veltroni non c’è da parte sua nessun veto.
Gli altri ex Ds però sono molto più diffidenti di fronte a
un’ipotesi del genere. Tant’è vero che Renzi con i suoi in
questi ultimissimi giorni è stato molto cauto. Il succo del suo
ragionamento è questo: Veltroni, Fassino, Bersani e Franceschini in
quanto ex segretari del Pd potrebbero «non facilitare un accordo».
E invece quel che serve più che mai al premier è «una persona che
non alzi la posta, ma che, al contrario renda più facile l’intesa»
.
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