Corriere della Sera 28/01/15
Luigi Offeddu
«Il 2015 sarà l’anno della ripresa
in Europa. Ma se non agiamo insieme, sarà troppo lenta, e debole.
Perciò concentriamo tutti le nostre energie. Con i piani Juncker e
Draghi, con le riforme strutturali e il consolidamento dei bilanci
pubblici, possiamo sperare. Ma i soldi non pioveranno dal cielo:
dobbiamo agire di più, tutti». Pierre Moscovici, francese, è il
commissario europeo agli Affari economici e finanziari, alla
tassazione e alle dogane. E come tutti, guarda preoccupato a
un’Unione Europea presa in contropiede dalla cronaca di queste ore.
L’Eurogruppo e l’Ecofin, i consigli dei ministri delle Finanze
dell’Eurozona e dell’Ue, si sono appena conclusi con molti
auspici sul futuro della Grecia di Alexis Tsipras, ma poche
indicazioni concrete su come affrontare la sua nuova realtà.
Domanda
di sempre: la Grecia resterà nell’euro?
«La Grecia ha la
capacità di creare lavoro, di ripagare i suoi debiti. E non mostra
segni di instabilità. Il suo posto resterà nell’Eurozona.
Affronteremo in modo chiaro con Alexis Tsipras la questione del
debito. La domanda non è: “Dove vuoi andare?”. Ma: “Come vuoi
andarci?”».
State già negoziando con Atene?
«No. I
colloqui inizieranno. Aspettiamo che il governo greco esprima la sua
volontà, che dica come rispetterà i suoi impegni, che la sua
maggioranza esprima chiare decisioni. Ci congratuleremo con Tsipras e
i suoi ministri (cosa avvenuta nelle ultime ore, ndr ). Affronteremo
insieme le sfide verso obiettivi che sono comuni».
Tutti o
quasi, a Berlino e altrove, anche se con diverse sfumature, escludono
recisamente una cancellazione o riduzione del debito greco. Ma una
sua diluizione nel tempo, di cui pure si continua a discutere?
«Non
è oggi il giorno per parlarne, è davvero troppo presto».
Lei
parla di impegni che Atene deve rispettare, sul deficit e sul debito.
Ma altri, nell’Eurozona, devono fare la stessa cosa: per esempio la
Francia, l’Italia...
«Loro però non si trovano nella stessa
posizione. La Grecia è sottoposta al programma di aggiustamento di
bilancio e dell’economia finanziato da eurozona e Fmi, l’Italia
si trova nel cosiddetto braccio preventivo del Patto di stabilità,
la Francia in quello correttivo…E tutti questi Paesi devono
completare le riforme strutturali».
Pier Carlo Padoan, ministro
italiano dell’Economia, dice che senza flessibilità non ci sono
riforme.
«Il ministro Padoan lo sa bene: noi non vogliamo
cambiare le regole del Patto di stabilità, ma interpretarle. Non
vogliamo un cambiamento globale, e però un cambiamento tattico sì:
vogliamo usare lo spazio di manovra — non disprezzabile — che c’è
in esse. Così da introdurre poi un reale livello di flessibilità
per i Paesi in difficoltà. Abbiamo concordato che per tutti i Paesi
dobbiamo tener conto delle condizioni cicliche, dei tempi buoni e di
quelli cattivi. Detto in altre parole: all’Italia sarà richiesto
un aggiustamento strutturale del saldo di bilancio 2015 dello 0,25%
invece che dello 0,5%, fino a quando vi saranno difficoltà».
Fra
un mese o poco più, a marzo, la Commissione Europea esprimerà il
suo giudizio sul piano italiano di stabilità. E naturalmente, niente
anticipazioni.
«Naturalmente no. L’Italia deve andare avanti
con la riforma del lavoro e con le altre riforme strutturali, con gli
sforzi intelligenti per ridurre il deficit e il debito».
Nel
frattempo, c’è un altro faro verso cui molti guardano speranzosi:
la Bce guidata da Mario Draghi, che ha iniziato le sue operazioni di
salvataggio acquistando i titoli di Stato di vari Paesi, e così
iniettando liquidità nei mercati finanziari…
«Sì. Ma nessun
Paese creda che aver più ambizioni nella politica monetaria possa
essere la scusa per non fare le riforme strutturali. La nostra
prospettiva di ripresa è sempre la stessa: consolidamento dei
bilanci, cioè riduzione di debito e deficit con più flessibilità;
riforme strutturali; contrasto alla deflazione, cioè riportare
l’inflazione ai livelli fissati dalla Bce».
E il piano
Juncker con i suoi auspicati 315 miliardi di investimenti produttivi
nel giro di tre anni?
«Realizzerà la nostra ambizione di
ridurre il divario di competitività con altri Paesi al di fuori
dell’Europa. Aiuterà la crescita interna, e anche questo è stato
spiegato con molta precisione: se un Paese vorrà investire dei soldi
nel piano Juncker, questi non saranno conteggiati nel calcolo del
deficit. Ripeto: il 2015 dovrà essere l’anno della ripresa, ma i
soldi non pioveranno dal cielo».
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