Corriere della Sera 28/01/15
corriere.it
È stallo. Nel gioco dei veti
incrociati la trattativa sul Quirinale si arena. Il premier dovrà
cercare di uscire oggi dalle difficoltà: decisivi saranno gli
incontri con Bersani stamattina e con Berlusconi a pranzo. Per il
leader del Pd la partita ruota attorno a tre quirinabili: «Amato,
Mattarella e Padoan». Per ora sono questi i nomi su cui si concentra
la mediazione. Ma proprio su questi tre nomi i kingmaker non riescono
a mettersi d’accordo. Il premier si oppone all’ex braccio destro
di Craxi: «Non posso accettare che mi venga imposta la candidatura
di Amato sulla quale c’è già l’accordo tra Berlusconi e
D’Alema». È il segno che Renzi sta cercando di bloccare
un’operazione parallela e ostile al suo disegno.
Perciò
proverà a rompere l’assedio cercando di convincere l’ex
Cavaliere a cambiare verso, e partirà dal nome di Mattarella per
verificare se ci saranno poi margini per altre soluzioni. Sarà solo
la mossa di apertura ma si capisce che Renzi è ancora intrappolato
nel gioco della rosa dei nomi, con le quotazioni dei candidati che
variano ogni giorno. L’attenzione ieri si è concentrata su
Finocchiaro, che la Lega sostiene in un’evidente manovra
d’interdizione, per tentare cioè di rompere l’asse tra Renzi e
Berlusconi. Non è chiaro in che modo il premier pensi di trovare
un’intesa con il leader di Forza Italia, che da giorni gli fa
sapere di essere indisponibile a votare per un candidato di area
Pci—Pds—Ds-Pd. Dopo aver sostenuto le riforme e la legge
elettorale, Berlusconi chiede un dividendo politico sul nome del
prossimo capo dello Stato e non gradisce la lista che gli viene
offerta. Non è un caso se persino Verdini, il più filorenziano in
Forza Italia, sposa la linea del capo, chiede a Palazzo Chigi segnali
di apertura, ed è critico con il premier: «A tutto c’è un
limite».
«Sono stretto tra tecnici, comunisti e
cattocomunisti», si lamenta il Cavaliere, che ieri è andato su
tutte le furie dopo la dichiarazione del ministro Boschi, lieta che
l'Italicum fosse passato «con i voti della maggioranza». L’idea
di una «autosufficienza» del governo sul nuovo sistema elettorale
gli è parsa come un avvertimento di Renzi in vista della corsa al
Colle. E per certi versi è così: «Berlusconi sta tirando la corda
— sostiene Renzi — ma non conviene nemmeno a lui romperla».
Questo clima testimonia del muro contro muro tra il segretario del Pd
e il capo degli azzurri, che in questa partita gioca all’unisono
con Alfano.
L’asse tra Berlusconi e il leader di Area popolare
sembra resistere. E agli amici di partito che continuano a dubitare
dell’ex Cavaliere, il presidente di Ncd oppone una granitica
sicurezza: «Tiene, il dottore tiene». Per questo ieri Alfano si è
incaricato di tagliare la strada all’ipotesi Padoan, sostenendo che
«il successore di Napolitano dovrà essere un politico, non un
tecnico». Se l’opzione Amato è invisa a Renzi, Padoan era (e per
certi versi ancora resta) il candidato su cui puntava (e punta) il
presidente del Consiglio, perché la sua ascesa al Colle gli
garantirebbe un doppio successo: controllare contemporaneamente il
Quirinale e il ministero dell’Economia, da affidare a un
fedelissimo.
Renzi però non può pensare di stravincere con i
voti altrui, cioè con i voti di Berlusconi e di Alfano. Ma nemmeno
con quelli di Bersani, che ha in mente una griglia di candidature:
nella prima fascia si trovano Amato e Mattarella, ai quali darebbe il
proprio consenso; nella seconda fascia ci sono i vari esponenti del
Pd, che — in competizione tra loro — rischierebbero di dividere
ulteriormente il partito; nell’ultima fascia c’è proprio il
titolare dell’Economia, contro cui la minoranza interna
esprimerebbe un pubblico dissenso, con effetti drammatici nella
«ditta».
Ecco il pericolo che Renzi vuole scongiurare, per
questo cercherà un appeasement oggi con Bersani: «Voglio fare un
lavoro di coinvolgimento, che è l’unico modo per portare a casa il
risultato senza spaccare il Pd». Non si capisce però come mai non
abbia abbassato prima la tensione. O forse è chiaro. Il premier
confidava in una sorta di caos ordinato dal quale trarre vantaggio
per raggiungere l’obiettivo all’ultimo momento, giusto per non
smentire il soprannome che gli hanno affibbiato in Consiglio dei
ministri: «Last minute».
Il rischio ora è di dover trovare
davvero «last minute» una soluzione, che nelle trattative per il
Colle non è mai un buon viatico. Però è questa la prospettiva, se
oggi non riuscisse a stringere un’intesa con Berlusconi e Bersani.
Lo si capisce dal modo in cui il premier ieri ha avvisato i suoi
interlocutori nei colloqui al Nazareno: «Sia chiaro, se non si
arriva all’elezione del presidente della Repubblica entro la quinta
votazione, dalla sesta saremmo liberi tutti». Una minaccia o un
segno di difficolta? Il fatto è che il premier ha adottato diversi
tipi di approccio nelle consultazioni. E se per un verso ha
rassicurato la delegazione di Forza Italia, sostenendo che «non
aprirò un altro forno con i grillini», per un altro ha messo
sull’avviso i compagni di Sel: «Preparatevi, perché i vostri voti
potrebbero diventare indispensabili».
Tre nomi e altrettanti
veti. Come se nella sfida per il Colle mancasse ancora il vero
quirinabile. O forse questa è la speranza di Renzi, che nonostante
le difficoltà ieri spiegava agli alleati la strategia di
comunicazione che ha in mente: «Se la scelta cadrà su un candidato
popolare, che ci farà conquistare punti nei sondaggi, annuncerò il
suo nome giovedì. Altrimenti lo farò venerdì». «Allora ci
vediamo venerdì», si è sentito rispondere...
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