Corriere della Sera 04/01/15
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Davvero un mercoledì da leoni, quel 25
novembre del 2009, per 393 vigili urbani con contratto a termine. Nel
giro di una mattinata presentavano domanda di assunzione a tempo
indeterminato, l’ufficio del personale verificava simultaneamente
il possesso dei requisiti e il Comune di Roma sfornava
istantaneamente il provvedimento di stabilizzazione. Firmato: Mauro
Cutrufo, senatore del Pdl e vicesindaco. Peccato che la rapidità da
salto nell’iperspazio di questa apparentemente complessa procedura
faccia a pugni con quanto affermato nell’ormai arcinoto rapporto
degli ispettori del Tesoro sui conti della Capitale. Cioè che in
base alle norme allora vigenti quelle stabilizzazioni erano
illegittime. Giudizio estendibile a tutte le 2.781 pratiche del
genere, di cui ben 500 relative ai vigili urbani, concluse fra il
2007 e il 2010.
Il personale
Che nella gestione del personale
il Comune di Roma non rappresentasse il top del rigore, era risaputo.
Ma lo scenario delineato in quel rapporto, soprattutto per gli anni
che hanno preceduto l’attuale amministrazione, va oltre ogni
immaginazione. E ben si comprende il sindaco Ignazio Marino, che
descrive l’inqualificabile diserzione dei vigili la sera di San
Silvestro come «una ritorsione» per aver lui voluto cambiare certe
regole inconcepibili, quali per esempio quelle che garantiscono una
valanga di indennità: le più assurde. Perché a toccarle, tutti i
26 mila dipendenti del Comune, tanti quanti i lavoratori della Fiat
in Italia, ci rimetterebbero qualcosa.
Il salario accessorio
A
cominciare da quel salario accessorio che dovrebbe essere collegato a
mansioni specifiche ed è sempre stato invece distribuito a chiunque
senza particolari motivi. Una pioggerellina fitta e incessante che ha
innaffiato tutti dal 2008 al 2012 con oltre 340 milioni di euro. Del
resto, che il merito sia sempre stato una variabile ininfluente nel
folle panorama retributivo del Comune di Roma lo dimostra una nota
del Dipartimento risorse umane del dicembre 2011, nella quale si
precisa che per non intascare il compenso di produttività bisogna
«aver riportato una valutazione inferiore a 66 punti» e «aver
lavorato un numero di giornate inferiore a 110». Cioè, essersi
presentati sul posto di lavoro meno della metà del tempo stabilito
per contratto. Regole, dunque, che giustificano l’assenteismo e il
lassismo. Tanto più, notano gli ispettori, che non è prevista
alcuna differenza nella somma corrisposta a chi viene valutato 66 e
chi invece prende 100.
Le «progressioni»
Ma chi bada mai a
una simile inezia, quando la pioggerellina è studiata apposta per
bagnare indistintamente ognuno? Prendete le «progressioni
orizzontali», termine che definisce i semplici aumenti di stipendio.
Dal 2000 al 2012 sono state distribuite ben 5 volte, per un totale di
94.994 gratifiche: effetto di 94.994 valutazioni positive sul
rendimento individuale. Quelle negative, 15. E sarebbe interessante
sapere che cosa avevano combinato per meritarsele. Sputato in faccia
al direttore? Mai andati a lavorare? Rubato? Spesa complessiva, 245,8
milioni fra il 2008 e il 2012. Alla quale si deve sommare quella per
un’altra pioggerellina altrettanto stupefacente e copiosa per il
capitolo delle indennità. Spesso e prelibato come un millefoglie.
Indennità legata all’effettiva presenza in servizio, ovvero una
somma erogata in più oltre allo stipendio per il semplice fatto di
andare a lavorare. Indennità manutenzione uniforme. Indennità per
l’attività di sportello al pubblico. Indennità oraria
pomeridiana. Indennità annonaria. Indennità decoro urbano.
Indennità di disagio: anche se non si capisce, sottolinea il
rapporto, di quale disagio si tratti. E le promozioni, usate
esclusivamente «per aumentare la retribuzione ordinariamente
corrisposta ai dipendenti». Una slavina, a dire degli ispettori, non
proprio legittima: 2.721, nei soli anni 2010 e 2011. E le assunzioni
a tempo determinato fatte «intuitu personae» anche quando non
riguardavano solo lo staff di fiducia dei politici. E le retribuzioni
accessorie dei dirigenti, andate in orbita fra il 2001 e il 2012
passando in media da 45.640 a 88.707 euro l’anno procapite con una
impennata del 94,3%. Premiando, per giunta, pure chi avrebbe dovuto
essere sanzionato: «Non risulta», sostiene il rapporto, «che a
nessun dirigente sia stata negata l’erogazione della retribuzione
di risultato».
Gli incentivi
Qualche papavero comunale, poi,
prendeva pure compensi dalle società municipalizzate che si andavano
ad aggiungere a uno stipendio già non particolarmente modesto. Il
che prefigura, dicono gli ispettori, la violazione del principio «di
onnicomprensività della retribuzione». Un caso? Il rapporto cita la
partecipazione alla Commissione di accordo bonario di Roma
metropolitane, la società incaricata di tenere i rapporti con il
general contractor della Metro C, del capo dell’Avvocatura comunale
Andrea Manganelli. Il quale «nel solo 2013 avrebbe percepito la
somma di 53.614 euro e 14 centesimi», anche se «la natura di
società in house di Roma metropolitane», stigmatizza il documento
del Tesoro, «non sembrerebbe consentire la corresponsione di simili
compensi». Fatti singolari. Come «singolare» viene giudicato
l’aumento di 1,7 milioni del fondo per gli incentivi economici dei
dirigenti, per di più «proprio nell’anno, il 2008, in cui lo
Stato si è accollato il debito del Comune di Roma». Una goccia nel
mare, in grado però di spiegare molte cose. Per esempio, come sia
stato possibile che nel 2012 la spesa corrente di Roma capitale fosse
superiore «di circa 900 milioni», per gli ispettori, a quella del
2007. Mentre sull’efficienza delle strutture comunali e la qualità
dei servizi offerti ai cittadini, per carità di Patria, forse è
meglio sorvolare.
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