martedì 25 marzo 2014

Una legge o un decreto per risarcire i detenuti ed evitare la condanna.


Corriere della Sera 24 marzo 2014
Giovanni Bianconi

ROMA — Un disegno di legge da approvare in tempi brevi, o un decreto che entri subito in vigore, per risarcire i detenuti che hanno subito il sovraffollamento nelle carceri italiane, che la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha sanzionato come «inumano e degradante». È la promessa che il ministro della Giustizia Andrea Orlando farà oggi e domani ai vertici del Consiglio d’Europa e della stessa Corte, nella sua missione a Strasburgo, per tentare di evitare le nuove condanne già annunciate un anno fa dai giudici che sorvegliano il rispetto delle norme comunitarie; uno sfregio che il governo vuole evitare a tutti i costi, anche perché arriverebbe alla vigilia del semestre a guida italiana del Consiglio Ue. E non sarebbe un buon viatico.

L’emergenza — denunciata più volte anche dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, con un messaggio alle Camere rimasto pressoché inascoltato — resta tale. Però l’Italia sta lavorando per risolverla. I dati del soprannumero sono in calo rispetto al momento in cui, un anno fa, arrivò l’ultimatum della Cedu dopo la «sentenza pilota» che ha condannato l’Italia a risarcire con 100 mila euro complessivi sette detenuti che per dodici mesi erano stati rinchiusi in spazi troppo ristretti: se entro il maggio 2014 il governo di Roma non avesse trovato soluzioni, la Corte avrebbe preso in esame tutti gli altri ricorsi (ce ne sono oltre tremila pendenti, e ogni giorno se ne aggiungono di nuovi) con sanzioni che calcoli approssimativi stimano intorno ai 40 milioni di euro. All’epoca di quel verdetto-avvertimento i reclusi erano poco più di 66.000, venerdì scorso eravamo a 60.419. Sempre troppi rispetto alla capienza regolamentare di 47.857 posti. Anche i detenuti in custodia cautelare in attesa del processo di primo grado sono scesi, da oltre 14.000 a 10.864. Però la situazione non garantisce che non ci siano più persone che scontano la pena in meno di tre metri quadrati per ciascuno. E soprattutto non incide sulle violazione passate, che in un modo o nell’altro vanno risarcite.

Ecco perché nei suoi incontri di oggi e domani con il presidente del Consiglio d’Europa, con il presidente della Cedu e con l’Alto commissario per i diritti umani, il ministro Orlando spenderà la carta di un provvedimento legislativo che — come accade per chi subisce una «ingiusta detenzione» attraverso la cosiddetta legge Pinto — garantisca degli indennizzi in Italia, senza la necessità di rivolgersi alla Corte europea. In questo i danneggiati potrebbero presentare le proprie istanze alle istituzioni italiane, e la Cedu lascerebbe cadere le migliaia di reclami che a Strasburgo attendono di essere esaminati. Se la Corte dovesse considerare adeguata questa «soluzione interna», l’Italia potrebbe ottenere di pagare cifre meno consistenti, anche meno della metà rispetto alle stime europee. Per chi è già uscito di galera, infatti, non c’è altro rimedio che il risarcimento economico, mentre per chi è ancora dentro si proverà con una decurtazione della pena, in modo da farlo uscire prima.

Il problema di Orlando è convincere gli interlocutori che questo passo l’Italia lo farà in fretta, quindi un con disegno di legge da approvare entro qualche mese, del quale lui stesso si faccia garante: oppure con un decreto-legge, come aveva immaginato l’ex Guardasigilli Annamaria Cancellieri che però non riuscì a far passare la sua proposta. Orlando conta di avere migliore fortuna, anche perché la scadenza si avvicina e la brutta figura internazionale ricadrebbe sulle spalle del governo Renzi. Ma conta anche di far capire ai vertici europei che in questi mesi l’Italia non è stata con le mani in mano. Solo che a Strasburgo non ne hanno tenuto conto; oppure non sono stati sufficientemente informati, se il 6 marzo scorso è arrivato un ulteriore monito a prendere le contromisure necessarie a evitare la condanna.

Il decreto divenuto legge il 19 febbraio (che prevede un «taglio» di 75 giorni per ogni sei mesi trascorsi in cella) non è considerato sufficiente, ma nel frattempo l’Italia ha provato a migliorare le condizioni di vivibilità nei penitenziari. Anche attraverso le convenzioni con le Regioni per i detenuti che possono accedere alle comunità di recupero, sui cui pure Orlando insisterà. Sperando di persuadere gli esponenti e i giudici europei che il terzo ministro della Giustizia italiano nell’ultimo anno — dopo l’avvocato Paola Severino e l’ex prefetto Cancellieri — è un politico di professione in grado di rispettare gli impegni che prende. Pena una condanna che peserebbe molto sul piano dell’immagine, oltre che su quello economico.




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