giovedì 27 marzo 2014

Commento di Sandro Pasotti all'editoriale del 26 marzo


Caro Riccardo, estraggo dal tuo editoriale del 26 marzo 2014 due frasi significative:

Al sindacato, che si lamenta per la mancata convocazione degli affollatissimi e spesso inconcludenti tavoli di concertazione del passato, dico che è giunta l'ora, anche per loro, di cambiare verso. La rappresentanza è un fatto importante per la democrazia, ma quando diventa burocrazia inamovibile, e liturgia inconcludente, è un problema.
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ho ascoltato l'intervento di tanti giovani motivati e professionalmente preparati; quando ho chiesto loro cosa ne pensavano del sindacato, la risposta univoca è stata: sindacato chi?

Permettimi due rapide considerazioni:
Sulla prima frase, il cui senso posso anche condividere, farei due chiose. Continui a usare il vecchio termine di Sindacato per indicare una realtà che è, invece, molto articolata. Capisco che a furia di vedere i talk show televisivi ci si fa una idea monolitica e a senso unico. In realtà quelle che molti (a ragione ?) indicano come divisioni sindacali da esorcizzare, sono semplicemente la conseguenza di modalità diverse di approcciare il tema del cambiamento. C’è chi si lamenta del fatto che il sindacato ha abbandonato le pratiche conflittuali degli anni d’oro, la “democrazia” confusa e assembleare e che continua a guardare alle grandi fabbriche e c’è chi, magari sbagliando, prova a cambiare.
Vogliano provare a fare una analisi meno rozza sull’argomento ? Altrimenti rischiamo di accomunarci al vecchio, e sempre presente, odio antisindacale tipico della destra e della parte più conservatrice dell’imprenditoria. E soprattutto ci terremo il peggio che il sindacalismo italiano ha prodotto e non il meglio che sta crescendo e che non appare sui mass media.
La concertazione è morta e sepolta da più di 10 anni. L’ultimo grande accordo concertativo è quello del 1993. E forse è bene che sia così se la cosidetta concertazione si riduce a inconcludenza e se chi va al tavolo non è disposto ad assumersi le responsabilità che ne conseguono.
Questo tuttavia non autorizza a mettere da parte il ruolo della società civile, di cui le organizzazioni sindacali fanno parte, con una certa supponenza che ha già fatto danni nel recente passato. Basta ricordare la Prof.ssa Fornero e i suoi disastri sulle pensioni e sul mercato del lavoro, frutto della arroganza e dalla non volontà di ascoltare chi, probabilmente, conosceva la realtà meglio di Lei.

Sulla seconda frase: attenzione a pensare che i giovani siano tutti motivati, professionalmente preparati…. in carriera. Ci sono purtroppo e per fortuna molti giovani normali che fanno professioni non brillanti che lavorano nei servizi, nell’industria, in piccole e piccolissime aziende, che fanno lavori manuali. Ci sono anche molti giovani “sfigati” che non lavorano e non studiano.
Se mai è preoccupante che questi lavoratori non intercettino il sindacato o il sindacato non intercetti loro. L’idea che non ci sia più bisogno di organizzare la tutela collettiva, sarà anche moderna e innovativa ma è sbagliata. C’è ne accorgiamo quando arriva la crisi.
E per questo che le organizzazioni sindacali devono cambiare: meno rigidità dove si è più forti e più disponibilità a ascoltare e a organizzare questa parte del mondo del lavoro. Lo si fa con scelte organizzative e politiche, che costano perché mettono in crisi le vecchie certezze e che spesso non sono conosciute ma che stanno cambiando il volto del sindacalismo italiano (o almeno di una parte di esso).
Non buttiamo via tutto, anche il nuovo che sta crescendo e che magari non fa notizia, potremmo pentircene.
Forse bisognerebbe discuterne.
Sandro Pasotti

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