sabato 29 marzo 2014

Un bersaglio troppo mobile

Stefano Menichini
 

In attesa del test europeo, Renzi conferma di avere il controllo pieno del Pd. Dissensi e malumori appaiono marginali. La centralità del Pd conviene a tutti, e il premier-segretario è troppo rapido per tutti.
I tempi difficili arriveranno. I risultati di amministrative ed europee saranno cruciali, associati alla leadership del presidente del consiglio e segretario del Pd. Fino a quel momento bisogna però prendere atto che Matteo Renzi mantiene sul proprio partito un controllo assoluto. E che c’è una palese sproporzione fra il peso che malumori o dissensi hanno sui media, e l’impatto che invece hanno sugli equilibri interni, sulle decisioni assunte, sui comportamenti al governo e in parlamento.
Lascia perfino perplessi, che obiezioni magari ragionevoli sulle singole scelte di Renzi e del suo governo siano veicolate nel Pd da una minoranza che non riesce a incidere. E questo vale non solo per l’ambito di partito, dove i rapporti di forza usciti dalle primarie sono impietosi, ma fino ad adesso anche per gruppi parlamentari che abbiamo descritto riottosi al limite della sedizione.
Alla luce di quello che Renzi è riuscito a fare negli ultimi quattro mesi, fanno sorridere le analisi di chi lo pronosticava in difficoltà nel suo stesso partito fin dai primi giorni dopo le primarie. Come è potuto accadere, al netto degli errori degli avversari?
Banalmente – come s’è sentito ripetere durante la direzione di ieri – l’intero Pd, al centro e in periferia, avverte che Renzi l’ha condotto finalmente al centro della scena, motore di una stagione avvertita dagli italiani come vigilia di cambiamento: una posizione che nessuno – per orgoglio, convinzione o semplice calcolo – vuole indebolire.
Renzi per primo sa benissimo che non tutti, neanche tra i suoi sostenitori, sono convinti al cento per cento di tutte le iniziative che lui da premier affastella giorno dopo giorno, una sopra l’altra in modo che risulti impossibile sfilarne una, pena il crollo dell’intero catasta. Del resto neanche Renzi s’è mai legato a un contenuto specifico: per lui i singoli capitoli possono essere ritoccati, corretti, aggiustati. Ciò a cui non è disposto a rinunciare è il messaggio d’insieme; la dimensione, la diffusione e la rapidità del cambiamento; la coerenza con l’impegno a non lasciare nulla com’era prima.
Sicché, quando qualche bene intenzionato si alza per obiettare sull’Italicum, trova Renzi già lanciato sul Jobs Act. Il giorno dopo, a chi critica il Jobs Act, si risponde col testo finalmente scritto della riforma del senato. E via così, inseguendo un bersaglio incomparabilmente più mobile di qualsiasi cacciatore.

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