martedì 25 marzo 2014

Tra Francia e Italia troppe differenze

Pierluigi Castagnetti 
Europa  

Nei prossimi due mesi vanno spiegati ai cittadini i costi della nonEuropa
I risultati delle elezioni amministrative francesi sono stati tanto annunciati quanto fatalisticamente lasciati accadere senza nessuna strategia di contrasto preventivo. Il fatalismo elettorale è una malattia incompatibile con la responsabilità della politica.  Una sciatteria che ha portato il Partito socialista, per la seconda volta dopo Mitterrand, a scivolare al terzo posto proprio nella legislatura in cui governa, e il partito conservatore, l’Ump, a diventare il primo partito nonostante le lacerazioni interne e la mancanza di una leadership autorevole.
È vero che i trend politici non sono facilmente contendibili in tempi brevi, ma non è meno vero che ci si debba provare. In Italia, qualunque sia il giudizio sulla sua strategia, Renzi ci sta provando: questa è la ragione per cui, per quanto sia doveroso allarmarsi e  allertarsi per il possibile contagio, il Pd ha ragione di sperare che le cose qui andranno meglio.
Non solo perché il populismo del M5S e della Lega è diverso da quello del Fn francese, ma soprattutto perché l’iniziativa del nostro governo punta a ridurre l’area del disagio e del dissenso popolare mettendo mano ad alcune questioni che tradizionalmente ne sono la causa.
C’è un’ulteriore differenza: da noi si vota, contemporaneamente alle europee, per il rinnovo di due consigli regionali importanti (Piemonte e Abruzzo) e di numerosi comuni che riguarderanno circa dieci milioni di elettori. Anche in Francia per la verità si è votato per il rinnovo delle amministrazioni locali, ma il clima elettorale europeo là si è già dimostrato decisivo, e molto. Da noi sarà ancora più evidente. Non è dunque facile fare previsioni perché nei due mesi che ci separano alle elezioni il clima si surriscalderà ancor più di quanto già si intravvede.
La recente lunga intervista a Enrico Mentana di Beppe Grillo ci offre già il campionario degli argomenti “di pancia” che  dilagheranno oltremisura. Occorre allora darsi una strategia elettorale volta a smontare – e non è difficile – quegli argomenti; l’importante è non sottovalutarli, perché quando fossero entrati nella testa, e nella pancia, della gente non sarebbe facile farli uscire. Sarebbe un errore rincorrerli, giustificarli, contestarne solo gli eccessi condividendone  nella sostanza la direzione, illudendosi di poter contare sulla ragionevolezza e sul senso di responsabilità dei cittadini: se l’Euro è stato un errore, se l’Europa è una prigione da cui uscire, finiranno per essere premiate quelle forze politiche che promettono di farlo più velocemente.
È del tutto evidente che la linea della mera austerità si è rivelata utile in un primo tempo, ma oggi è sbagliata; che lo spazio riconosciuto in questi anni alla Germania è stato in una certa misura inevitabile, ma oggi deve essere rivisto e ripristinata una logica genuinamente comunitaria; che l’apprezzamento dell’euro sulle altre monete di riferimento internazionale è servito a irrobustire le economie continentali con minori problemi per l’export e le delocalizzazioni “sottocasa”, ma oggi non la si può più accettare; che la centralità del Mediterraneo ha potuto  essere postposta prima delle “primavere arabe” e quando le economie nordiche potevano permettersi il lusso di disinteressarsene, nel bene e nel male, ma oggi non è più rinviabile. Tutte questioni che il nostro governo sta affrontando.
Ma quando si insinua nell’opinione pubblica da parte di alcune forze politiche, con una linea disinvolta e irresponsabile, l’idea che senza l’Europa per noi tutto sarebbe più facile, allora si rende necessario confermare con coraggio, responsabilità e nettezza le ragioni della nostra appartenenza irreversibile alla Comunità.
I prossimi due mesi dovranno essere utilizzati per spiegare agli italiani, giorno dopo giorno, quali sarebbero i costi politici, economici e umani della “NonEuropa”. Un lavoro che non potrà essere lasciato alla sola iniziativa dei candidati alle elezioni europee, ma dovrà rappresentare il cuore della strategia comunicativa, “educativa” e politica di tutto il partito.
Non basteranno semplici evocazioni di De Gasperi e Spinelli, o coltivazioni emotive della pace europea, delle radici cristiane, dei programmi Erasmus, della libera circolazione delle persone e dei capitali: questo poteva bastare sino a qualche decennio fa quando il sentiment europeista si trovava naturalmente in circolazione nelle vene del paese. Oggi è necessaria una specifica concretezza, proprio perché l’Europa è entrata nella concretezza della vita delle persone, delle famiglie e delle imprese.
E allora, per esempio, si dovrà parlare delle infrastrutture per alcuni settori della ricerca fondamentale e applicata, per l’energia, per le grandi scelte ambientali relative allo sviluppo compatibile, per una efficace politica anticongiunturale, per le politiche di difesa comune, soprattutto oggi quando le frontiere orientale e meridionale sono diventate particolarmente delicate, per le iniziative già in fase di avvio dei grandi investimenti (come l’Ice, European Citizen Initiative) con l’obiettivo in pochi anni di incrementare alcuni milioni di posti di lavoro.
Per non parlare della necessità di consolidare quello che, nonostante tutto, è ancora oggi il più grande mercato interno del mondo, di fronte alle sfide dei grandi mercati emergenti, condizione che – se saremo capaci di strutturare il governo politico dell’Unione – ci metterà nella possibilità di contenere l’anarchia e la prepotenza dei grandi investitori finanziari mondiali.  La NonEuropa esporrebbe economie affaticate e indebitate come la nostra a rischi assolutamente ingovernabili e imprevedibili. Occorre parlare chiaro, dirlo e documentarlo senza timidezze e sciatteria agli elettori, che non sono naturaliter tenuti a conoscere e riflettere su tutti questi argomenti.
Siamo solo agli inizi della campagna elettorale e, dunque, non è possibile fare previsioni attendibili sugli esiti elettorali, anche se già circolano proiezioni non proprio rassicuranti. L’ultima stima di “PollWatch2014” dice che il Pse e il Ppe probabilmente saranno appaiati, 28,5 contro 28,4%, i liberali all’8,8%: Ppe, Alde e Ecr (conservatori) potrebbero contare su 325 seggi, corrispondenti al 43%, mentre Pse, Verdi e Gauche arriverebbero a 309 seggi, pari al 41,4%.
L’altra agenzia che ha organizzato sondaggi a livello europeo, Cicero, grossomodo conferma questa previsione. Dunque, inevitabilmente  ci si avvia verso grandi intese nel parlamento europeo, com’è stato finora (anche se si finge di non saperlo). Ma, al di là dei numeri, ciò che occorre evitare è che nel sangue dell’Europa vengano iniettate tossine populiste in misura insopportabile. Occorre cioè contenere il contagio francese. Per quanto riguarda l’Italia la responsabilità del Pd è veramente grande.

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